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I piani albanesi di Meloni e la propaganda di Starmer

I piani albanesi di Meloni e la propaganda di StarmerKeir Starmer e Giorgia Meloni foto Epa/Neil Hall

Arrestiamo umani Quando l'argomento del «dobbiamo essere pragmatici» è il primo a essere messo sul tavolo, i principi – memoria, responsabilità – sono già stati sospesi

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

Pubblicato su The Guardian del 22 settembre e tradotto dal manifesto per gentile concessione dell’autrice. 

Una fredda sera d’inverno del 1999, aspettavo un treno alla stazione Termini di Roma quando notai un’anziana signora in affanno con le sue valigie e mi offrii di aiutarla. «Signorina – la sua voce tremava leggermente – Per fortuna ci sono ancora giovani come lei. Ero molto preoccupata. Questa stazione è piena di scippatori albanesi. È un’invasione». All’epoca non ebbi il coraggio di dirle che ero albanese. Una di quelle fortunate, una studentessa con una borsa di studio, a differenza dei miei concittadini che lavoravano come addetti alle pulizie, muratori, badanti e lavoratrici del sesso. In quei giorni facevamo notizia in Italia. A volte come una nazione di contrabbandieri, sfruttatori e ladri; altre volte come individui falliti, socializzati sotto un sistema diverso, che faticavano a integrarsi; e altre volte ancora come persone corrotte e pigre, incapaci di applicare nel proprio paese la formula del successo che avevano visto trasmessa oltre l’Adriatico sui canali televisivi di Silvio Berlusconi.

«INVASORI» era solo una delle tante etichette. Anche se, presa letteralmente, l’unica invasione nella storia tra Italia e Albania, era avvenuta al contrario. Accadde il 7 aprile 1939, quando le truppe di Mussolini sbarcarono nella mia città natale, Durazzo, e annetterono il regno d’Albania al regno d’Italia, utilizzandolo come base militare per la successiva invasione della Grecia, sfruttandone il rame, il cromo e altre risorse naturali, e adornando la bandiera albanese con simboli fascisti.

Dalla fine del regime comunista nei primi anni ’90, nessun politico albanese ha mai osato sfidare un governo italiano sull’eredità coloniale che grava sul rapporto tra i due paesi. Al contrario si celebra spesso l’amicizia speciale tra i due stati, come è avvenuto con il recente accordo che permette al governo di Giorgia Meloni di processare i richiedenti asilo extra-territorialmente in Albania. Dopotutto, a differenza di quanto accaduto nell’invasione italiana dell’Etiopia, noi ci siamo risparmiati le armi chimiche. L’incidente del marzo 1997, in cui decine di donne e bambini annegarono dopo essere stati colpiti da una motovedetta italiana, è ora classificato come un mero accidente.

TUTTAVIA, i governi non coincidono mai del tutto con i popoli. Molti albanesi ricordano infatti con gratitudine l’ospitalità ricevuta a partire dagli anni ’90. Durante i miei anni di studio a Roma, incontrai decine di italiani che mi assicuravano che gli stranieri erano i benvenuti e si scusavano per gli insulti che spesso sentivo in pubblico. Spiegavano che anche gli italiani, una volta, erano stati migranti. Non erano tra coloro che credevano nel mito degli italiani brava gente, che serviva a normalizzare e giustificare l’eredità di Mussolini. Non pensavano che la nazione dovesse prevalere su tutto. Non votavano per partiti come quello di Meloni.

I politici britannici, tra cui, a quanto pare, Keir Starmer, hanno dichiarato che il governo del Regno Unito è interessato a un patto migratorio simile a quello con l’Albania. Non sarà però di certo con l’Albania. Il governo albanese infatti aveva già in passato respinto le richieste della Gran Bretagna che andavano in queste direzione, dichiarando che il paese non sarebbe mai diventato una discarica per l’Europa.

Tutto ciò di cui i britannici hanno bisogno per un accordo equivalente è una ex colonia con un governo la cui memoria sia abbastanza selettiva da ricordare le strade e gli edifici costruiti dal suo padrone nel secolo scorso, ma non gli esseri umani che ha sfruttato nelle ultime decadi. Un popolo sufficientemente traumatizzato dal suo passato recente da aver rimosso dalla memoria quello più lontano, e governato da un’élite politica sottomessa, conforme all’ordine liberale, che ripeterà il mantra che dobbiamo tutti condividere le conseguenze della migrazione senza mai però mettere in discussione le sue cause geopolitiche.

EPPURE SAREBBE ingenuo criticare gli sforzi di Starmer per affrontare la migrazione facendone una questione morale, come molti a sinistra tendono a fare. Quando l’argomento del «dobbiamo essere pragmatici» è il primo a essere messo sul tavolo, i principi – memoria, responsabilità, cura per le persone vulnerabili, chiamateli come volete – sono già stati sospesi. Come opporsi, allora? Forse con la logica. Gli accordi migratori come quello che apparentemente sta valutando il Labour si basano su vari presupposti: che la migrazione stessa sia un problema, che la migrazione irregolare sia efficacemente combattuta con restrizioni draconiane alle frontiere, che la detenzione extraterritoriale possa fungere da deterrente. C’è ampia ricerca che dimostra quanto ognuno di questi presupposti sia dubbio.

Il centro di Gjader in Albania

Ma anche supponendo che siano validi, ci sono tre ulteriori questioni che qualsiasi politico «pragmatico» dovrebbe affrontare. Politicamente, il modello albanese è presentato come una novità nella gestione dei flussi migratori perché coinvolge la cooperazione tra un candidato all’Ue e uno Stato membro. Ispirato dal desiderio di trovare una soluzione «strutturale» alla questione dell’immigrazione irregolare, in realtà fa esattamente il contrario: lascia alle negoziazioni bilaterali ciò che dovrebbe essere il risultato di un processo a livello europeo. Ancora più importante, e più rilevante per il Regno Unito che non ha piani per rientrare nell’Ue, crea un precedente pericoloso in cui i singoli paesi perseguono i propri accordi per affrontare il loro “problema” migratorio, allontanando l’ipotesi di un coordinamento tra i vari stati.

IN SECONDO LUOGO, il principio di non-refoulement, sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 sullo status dei rifugiati, proibisce l’espulsione o il ritorno di persone verso paesi considerati non sicuri. Meloni insiste che l’Albania sia sicura, citando il suo status di candidato all’Ue. Ma se così fosse, perché donne incinte, bambini e altre categorie vulnerabili sono esentati dall’accordo? In terzo luogo, c’è la questione economica.

Per rispettare il diritto internazionale, i migranti deportati devono rimanere sotto la responsabilità dell’Italia. Secondo l’accordo tra Italia e Albania, l’Italia è responsabile di tutti i costi di costruzione e gestione dei due centri, così come del personale di polizia, medici, infermieri e funzionari amministrativi, per una spesa totale che si stima possa raggiungere i 670 milioni di euro. Un migrante irregolare in Albania costa all’Italia tanto quanto, o più di quanto, costerebbe se venisse processato nel suo territorio. L’unico beneficio è che i migranti diventano invisibili – lontano dagli occhi, lontano dal cuore, come dice il proverbio italiano.

CI VIENE DETTO che il governo di Starmer è pragmatico e interessato a ciò che funziona. Ma come può una «soluzione» che non ha senso da un punto di vista politico, legale ed economico essere considerata ancora «pragmatica»? Forse c’è solo una risposta plausibile: la propaganda. Il Labour sa di avere una maggioranza precaria, minacciata da politici di estrema destra che gridano contro il pericolo dell’immigrazione. Il Labour evidentemente pensa di poter inviare un messaggio agli elettori più a destra della sua coalizione dimostrando di avere il pugno duro contro i migranti. Facendo ciò, dà per scontato il sostegno dei suoi elettori liberali e di sinistra. Ammesso che questi elettori possano sospendere i loro principi e perdonare gli eccessi di retorica, le contraddizioni politiche, legali ed economiche rimarranno. E se i piani andranno avanti, le persone cominceranno a domandarsi fino a che punto il pragmatismo che stanno appoggiando sia davvero tale.

(Traduzione di Shendi Veli)

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