Visioni

La malattia e l’energia dell’adolescenza

La malattia e l’energia dell’adolescenza

Venezia 76 «Babyteeth» di Shannon Murphy, secondo titolo di una regista in concorso, tratto da una pièce teatrale di Rita Kalnejais

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 5 settembre 2019

Babyteeth esordio di Shannon Murphy, australiana cresciuta tra Hong Kong e il Sudafrica, esperienza da regista di teatro prima di passare al cinema, è il secondo film di una «regista donna» nel concorso veneziano, fardello non semplice da queste parti viste le discussioni sul gender nella selezione veneziana, le critiche per la scarsa presenza femminile e quant’altro. Il primo è stato quello di Haifaa Al Mansour, The Perfect Candidate, regista di successo con il precedente La bicicletta verde, che del primo raccoglie la «semplificazione» nella protagonista, un medico donna candidata suo malgrado alle elezioni municipali. Lo schema narrativo è scoperto, il buono, il cattivo ecc secondo una rappresentazione binaria, che rende il tutto in fondo rassicurante compresa la questione di gender in un paese come l’Arabia saudita.

PROTAGONISTA di Babyteeth è una adolescente, Milla, capelli rossi e violino in mano, combatte con un cancro che non sembra benintenzionato. I genitori le sono vicino, un grumo di nevrosi familiari, padre psichiatra, madre ex-pianista con sensi di colpa – «Non mi sono presa cura di lei abbastanza» – imbottita di pillole dallo stesso marito. Li conosciamo però dopo che il «prologo» ci mostra il «crash» tra Milla, mentre aspetta un treno, e Moses, ragazzo più grande, tatuato e sporco, addicted di qualsiasi sostanza, che la conquista fermandosi a un millimetro dal vagone in corsa. Tutto è là eppure deve ancora succedere e in questa libertà cercata con il cinema rispetto a una vicenda che potrebbe seguire uno schema già definito, Murphy pone la sua scommessa di cineasta.

ALL’ORIGINE di Babyteeth c’è la pièce teatrale di Rita Kalnejais – autrice anche della sceneggiatura – e il film, come spiega la regista, nasce proprio dal desiderio di trovare una forma cinematografica che ne conservasse l’umorismo rispetto al tema trattato. Murphy ne fa un quasi romanzo di formazione, con la ragazzina che finalmente perderà il suo dente da latte rimasto lì fuori tempo, ma il futuro, quel passaggio verso il quale si dirigono tra mille capriole e cadute gli adolescenti per diventare «adulti» rimane nel presente, almeno per Milla, proiettandosi invece nelle vite degli altri, in coloro che le stanno accanto e che lei ama. Poteva diventare un lacrima-movie (tipo il classico del genere Ultima neve di primavera) ma la regista vi oppone una narrazione non lineare, che sminuzza in frammenti e capitoli che dentro la situazione, sempre più tesa, sempre più dolorosa, diventano un controcampo irriverente e scanzonate, buffo e stravagante come solo la vita può essere.

COSA SIGNIFICA per due genitori veder morire un figlio e quanto è disposto qualcuno a fare per chi ama sentendo di perderlo? Milla è innamorata di Moses, lo considera speciale anche se vive per strada – la madre l’ha cacciato perché è tossico – se non studia, se puzza e entra a casa loro a rubare i suoi antidolorifici e i sonniferi della madre per strafarsi, se racconta bugie e se in fondo non la ama. Eppure. I genitori lo prendono in casa per farla felice, accettano che dormano insieme, il padre gli fa le ricette con la droga. E poi? Quella di Murphy è dunque una scommessa, tenere l’emozione sentimentale – più di qualcuno era in lacrime alla fine della proiezione – raccontando la malattia e la morte di una ragazzina con l’energia sbilenca dell’adolescenza. Milla – la giovane e molto brava Eliza Scanlen – si prende i suoi sogni d’amore, segue l’amato la notte senza le medicine, e le corde di violino si sintonizzano al suo cuore diventando all’improvviso meno banali.

È UNA BATTAGLIA col suo corpo che va contro i suoi desideri, la testa calva che copre di parrucche, biondissime o blu, mentre come una regista o narratrice prova a reinventare le parti di tutti coloro che la circondano senza ricatti, disintossicando la realtà. Perché se Moses è «il tossico» non sono da meno i suoi genitori paralizzati nelle nevrosi dell’angoscia, piena di psicofarmaci la madre, con la morfina il padre, chiusi in sé stessi e disposti a tutto. La cura è reciproca, la cura è ritrovare i fili di relazioni impossibili, creare un mondo che ci piace. Dolcemente Murphy ne segue le tracce, l’accompagna in questa avventura cercando il sentimento – e non il sentimentalismo – nella forma forse non perfetta delle sue immagini c’è però la grana del vissuto, l’energia dell’amore e delle sue imprevedibili sorprese.

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