La guerra vale oro
Egitto Esercito, tribù, trafficanti, bande armate: nel sud egiziano si combatte per il controllo delle miniere. Il regime militarizza l’area e arma i clan locali. A pagare sono i lavoratori migranti
Egitto Esercito, tribù, trafficanti, bande armate: nel sud egiziano si combatte per il controllo delle miniere. Il regime militarizza l’area e arma i clan locali. A pagare sono i lavoratori migranti
Nel profondo sud egiziano, tra Assuan e il Mar Rosso, sorgono vallate aride e rocciose di color rosso intervallate da un immenso deserto di sabbia. Piccoli villaggi silenziosi sparsi fungono da luogo di ristoro per i beduini che vivono in queste aree torride del paese dove le temperature superano i 50 gradi.
Da un anno però a solcare il deserto non ci sono solo i beduini locali ma anche militari, trafficanti d’oro, milizie armate e migranti in cerca di fortuna. Perché in questo deserto sorgono importanti giacimenti d’oro sotterranei, per il cui controllo è in corso una guerra di cui nessuno parla ma che sta mietendo decine di vittime ogni giorno.
Il valore dei giacimenti d’oro e le mazzette alla polizia
Sono almeno 15 i siti considerati ricchi di minerali preziosi in tutta l’area che si estende tra città commerciale di Assuan e la coste del Mar Rosso e a sud fino al confine sudanese. Si stima che la sola miniera di Sukari, la più importante della zona, contenga potenzialmente circa 197 tonnellate d’oro per un valore di circa 10 miliardi di dollari. Un business che fino al 2013 era gestito da aziende private che attraverso gare pubbliche vincevano l’appalto per estrazione, gestione e vendita sul mercato delle risorse minerarie, pagando una percentuale al governo del Cairo.
Accanto a queste realtà, è sempre esistita una fitta rete di trafficanti che sfrutta la manodopera migrante per la ricerca e l’estrazione dell’oro. Le condizioni di lavoro sono spesso disumane, i migranti sono costretti a lavorare senza sosta, sotto il sole cocente o nelle profondità delle miniere dove spesso trovano la morte soffocati o di stenti in cambio di un centinaio di dollari al giorno.
Le autorità locali, così come le forze di sicurezza egiziane, conoscono il fenomeno della caccia illegale all’oro così come lo sfruttamento della manodopera straniera, ma il sistema è ben rodato: una percentuale dei proventi dell’oro trovato va alla polizia sotto forma di mazzette di passaggio, regali, corruzione per chiudere gli occhi mentre i corpi senza vita dei migranti vengono seppelliti nel deserto.
Il monopolio del controllo e l’inizio della guerra
Nel 2013 il governo del Cairo crea la Shalateen Mineral Resources, specializzata nella ricerca e nell’estrazione dell’oro con il mandato di sondare l’area del deserto di Assuan. Controllata dal ministero del petrolio e delle risorse minerarie, la Shalateen gode di agevolazioni nell’assegnazione dei siti minerari e nel suo lavoro si affida a un imponente sistema di sicurezza garantito direttamente dalle forze armate egiziane.
Non è un caso infatti se tra i suoi dirigenti compaiano generali dell’esercito come Abdel Salam Ahmed Shafiq, collega e amico di Mohamed Ahmad Zaki, comandante delle forze armate. Secondo un’inchiesta dell’agenzia indipendente egiziana Mada Masr, la controllata dell’esercito avrebbe monopolizzato tutte le miniere d’oro lasciando alle aziende private siti poveri di risorse. Non solo, con la legge promossa dal presidente egiziano al-Sisi nel 2014 sulla regolamentazione delle concessioni di estrazioni d’oro, servirebbero almeno un milione di sterline locali, circa 20mila dollari, per mettersi in regola e ricevere la concessione: una cifra proibitiva in un paese dove lo stipendio medio mensile è di 160 dollari.
Questa nuova stretta avrebbe disincentivato il rilascio di nuove concessioni e di fatto costretto alla chiusura diverse realtà private che lavoravano da decenni nel settore dell’oro. Ma non tutti si sono arresi. Alcuni imprenditori locali si sarebbero alleati a trafficanti locali per il controllo dell’area, scontrandosi con i militari egiziani in imboscate e agguati dove hanno perso la vita soldati e colonnelli dell’esercito.
Il monopolio dell’esercito sull’oro ha creato anche una crisi locale: sono centinaia i lavoratori delle miniere di Assuan che hanno perso il lavoro e che hanno dovuto reinventarsi all’interno di un contesto dove le miniere sono la principale fonte di reddito per la maggior parte della popolazione locale.
Le bande armate del deserto e la sparizioni forzate
Il business dell’oro nell’area ha portato in pochi anni alla militarizzazione del deserto: centinaia i posti di blocco della polizia sparsi in tutta l’area mentre continuano a formarsi gruppi armati e bande che illegalmente cercano siti minerari, perforano ed estraggono l’oro per poi nascondersi nelle montagne rocciose usate come ripostigli e basi di addestramento all’utilizzo delle armi.
L’entrata in campo dell’azienda governativa e la corruzione della polizia locale hanno generato un’anarchia che si traduce in alleanze tra trafficanti e privati, spesso sostenuti da rami deviati della polizia locale, in uno scenario in continuo mutamento per il controllo delle miniere. Oltre all’esercito per garantire la sicurezza dei suoi siti, il governo si sarebbe affidato anche a tribù locali armate, specializzate nella ricerca dei trafficanti.
Tra i boss di queste milizie filo-governative ci sono Hamdy Abu Saleh e Abu Abbas che sono al comando delle più importanti bande locali che compiono azioni di fermo e arresto di sospetti trafficanti e cercatori d’oro e la consegna alle forze di sicurezza egiziane, più volte accusate di violazioni dei diritti umani quali torture e sparizioni forzate come riporta l’organizzazione Human Rights Watch.
L’arresto degli imprenditori dell’oro
Mentre nel deserto si combatte per il controllo delle miniere d’oro, al Cairo decine di importanti imprenditori e commercianti di minerali preziosi sono stati arrestati in una vasta operazione di polizia. L’accusa è di frode, evasione fiscale e manipolazione dei prezzi dell’oro per destabilizzare il mercato interno.
Mansour Rifai, presidente della divisione «Oro e minerali» della Camera di Commercio egiziana, accusa il governo di voler trovare un capro espiatorio per la crisi del dollaro, sempre più acuta nel paese. L’oro infatti sarebbe ora l’unica moneta di scambio per l’acquisizione di dollari, sempre più cari ed introvabili con un cambio sterlina egiziana-dollaro di 1 a 30, mentre nel 2011 era di 1 a 0,10.
L’economia in crisi e il business dei militari
Con un’economia al tracollo e un debito estero di 170 miliardi di dollari, l’Egitto è sull’orlo del default mentre l’inflazione ha raggiunto picchi del 70% e quasi la metà della popolazione – circa 30 milioni – vive sotto la soglia di povertà.
L’oro è e rimane un ricco business per i militari egiziani che, dopo essere entrati con loro controllate nel settore alimentare e dei trasporti, stanno di fatto ampliando la loro presenza nel settore privato nonostante gli ammonimenti del Fondo monetario internazionale, che ha chiesto un ridimensionamento della presenza governativa nell’economia.
Intanto nel deserto di Assuan si continua a combattere in quella che si può definire, come nella Penisola del Sinai, una sporca guerra civile per il controllo delle risorse.
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