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La guerra europea dei decimali e l’occasione persa delle sinistre

La guerra dei decimali continua. Dopo che si sono pronunciati Europa, mercati e società di rating tocca adesso al governo fare la sua contromossa. Alcune subordinate, in termini di diluizione […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 11 dicembre 2018

La guerra dei decimali continua. Dopo che si sono pronunciati Europa, mercati e società di rating tocca adesso al governo fare la sua contromossa. Alcune subordinate, in termini di diluizione delle spese, cominciano ad intravedersi,  ma non sembra che il conflitto possa risolversi a breve e tranquillamente. Possibile che per un  Paese che ha sí un debito pubblico alto, ma anche un debito privato basso ed un buon avanzo commerciale, 10 miliardi in più  di deficit possano creare un rischio insolvenza? Difficile. Più probabile, invece, che ad alimentare lo scontro ci siano ben altri fattori.  Proviamo ad analizzarne due.

Il primo riguarda la natura di un governo basato su un contratto che risponde alle esigenze di due  aree sociali e territoriali diverse. Esso ha una specificità che lo distingue dalle tradizionali alleanze di governo: non nasce come sintesi tra strategie diverse che si fondono in un progetto comune e, quindi, ricercando un equilibrio ed una compensazione tra le diverse spinte. Nasce, al contrario, assemblando le diverse proposte, producendo un effetto somma che dilata le spese ed alimentando una competizione tra le due forze che spinge ciascuna di esse a realizzare gli obiettivi della parte che rappresenta.

Un governo di questa natura, quindi, incorpora una spinta ad una lievitazione permanente della spesa ed i due simboli, flat tax e  reddito di cittadinanza, sono l’espressione del potenziale esplosivo che questo governo contiene  Questo spiega, più dei decimali, perché gli analisti di mercato siano preoccupati del futuro.

Il secondo fattore che può incidere sulle preoccupazioni dell’Europa e dei mercati è proprio il reddito di cittadinanza Esso non è più da tempo quello che il MoVimento 5 Stelle teorizzava all’inizio – il diritto del cittadino  in quanto tale ad un reddito –  e non è ancora chiaro quali concrete caratteristiche avrà. Ma in ogni caso è quasi certo che istituendo una soglia minima di reddito garantito esso potrà dare un colpo ai lavoretti da 400-500 euro al mese.  Potrà avere, quindi, una portata dirompente sulle politiche di precarietà e di bassi salari perseguite in questi anni. Questo spiega perché Europa e mercati stanno scatenando una guerra che in apparenza si svolge sui decimali, ma che, in realtà, mira a difendere il fortino delle politiche liberiste.

In un contesto così dinamico ed aperto a sbocchi diversi ci sarebbero spazi per una sinistra che, sul primo terreno, contrasti la riduzione delle entrate e proponga una coraggiosa politica di tassazione di alti redditi e grandi ricchezze e, sul secondo, spinga per garantire gli strati sociali più bassi agendo sui redditi e sul lavoro. Spagna docet. Ma, in Italia, lo spettacolo che le tante sfumature di sinistra stanno dando è di tutt’altro livello.

Il finto congresso del Pd nel quale tutti quelli che hanno sostenuto le politiche neoliberiste, adesso e senza alcuna autocritica, si candidano a guidare il cambiamento,  e la fine prematura degli accoppiamenti nati solo pochi mesi fa – tra Pap e Prc, e tra Sinistra Italiana ed Mdp –fotografano una sinistra fuori dal mondo e preparano una nuova e pericolosa sconfitta.

É certo, infatti, che l’avanzata della Lega proseguirà, che le difficoltà del M5S nella prova di governo aumenteranno e che esso sarà spinto ad annacquare le sue proposte. In queste condizioni crescerà il rischio di un maggiore  astensionismo nel bacino elettorale progressista e di una vittoria della destra che si candiderà a governare da sola.

In questo panorama il modo in cui la vicenda di Liberi e Uguali sta per concludersi è surreale. Non un confronto aperto e comune sugli scenari che ci stanno davanti e sulle dimensioni del confronto in atto dentro il governo e con Europa e mercati, non uno sforzo di analisi comune di quanto sta avvenendo in Europa. E nemmeno una riflessione comune sulla deglobalizzazione in atto,  sui nuovi scenari geopolitici, sulla loro relazione con la mutazione climatica e sui fenomeni migratori. Ma un dialogo a distanza tra due gruppi dirigenti autoreferenziali che, come avviene nei matrimoni di interesse, si passano a turno il cerino delle responsabilità del fallimento. Peccato, un’altra occasione mancata.

Nel frattempo nella penisola iberica si sperimentano convergenze a sinistra interessanti e, su un terreno molto più ampio, si lanciano idee di una alleanza progressista globale che vada da Corbyn a Sanders via Varoufakis. Ci sarebbe bisogno di saldare queste due facce della medaglia. Ma, evidentemente, non abbiamo ancora toccato il fondo per fare questo salto di qualità.

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