Il giorno del suo insediamento alla presidenza del Senato, Ignazio La Russa aveva citato i nomi di Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci insieme a quelli di Sergio Ramelli e del commissario Luigi Calabresi. Un minestrone di anni ’70 privo di reale nesso logico, ma utile a legittimare lo straordinario percorso istituzionale dei figli dell’Msi, gli esclusi della Repubblica che si prendono la loro rivincita e, ottant’anni dopo la sconfitta del fascismo, conquistano il potere.

NON È UN CASO che lo stesso La Russa abbia accolto con «grande soddisfazione» la decisione della procura di Milano di riaprire il fascicolo sull’omicidio a colpi di calibro 32 dei due militanti del Leoncavallo, avvenuto il 18 marzo del 1978 e rimasto insoluto. L’inchiesta giudiziaria era arrivata al capolinea il 6 dicembre del 2000, con un decreto di archiviazione firmato dalla gip di Milano Clementina Forleo. C’erano sì «significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva» ma non c’erano abbastanza prove. I tre accusati dell’omicidio erano Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi, noti esponenti dell’estremismo nero di quegli anni. La pista che portava a loro nacque grazie al lavoro d’inchiesta di militanti politici e del giornalista di Radio Popolare Umberto Gay, a partire dai nomi contenuti nel «Dossier eroina» (una lunga lista di spacciatori milanesi) a cui Fausto e Iaio avevano collaborato. Un filo che, a metà degli anni ’90, portò il giudice Guido Salvini a collegare il caso dei due milanesi a quello romano di Valerio Verbano, che pure aveva raccolto molti elementi sui traffici criminali dei neofascisti. Dal pronunciamento di Forleo, però, non sono emersi elementi nuovi di alcun genere e la riapertura delle indagini, infatti, ha una matrice tutta politica.

La scorsa primavera il consiglio comunale di Milano aveva approvato un ordine del giorno (presentato dal Pd) che impegnava il sindaco Beppe Sala a chiedere la riapertura del fascicolo, cosa che è in effetti avvenuta la settimana scorsa, con gli accertamenti che sono stati ieri ufficialmente assegnati ai pm Francesca Crupi e Leonardo Lesti del dipartimento antiterrorismo. A loro il compito di trovare prove sfuggite negli ultimi 40 anni e sottoporli al gip, che eventualmente potrà riaprire del tutto il caso.

«È UNA MOSSA un po’ demagogica, se in assenza di fatti nuovi», commenta l’avvocato Davide Steccanella, uno dei massimi esperti della storia d’Italia durante gli anni del terrorismo e della violenza politica. «Il tutto – prosegue – sembra destinato a finire nel nulla, per quanto sia lodevole dal punto di vista storico perché non si è mai riusciti a individuare gli autori dell’omicidio». Esulta a mezzo social invece La Russa: «L’auspicio è quello di riuscire ad avere al più presto giustizia per le famiglie e per la memoria dei due ragazzi».

NON È UN MISTERO che diversi parlamentari della maggioranza, in testa Fabio Rampelli di FdI, da tempo chiedono una commissione d’inchiesta su quelli che cinematograficamente chiamano «gli anni di piombo» e i tempi adesso sembrano maturi per farla davvero. La mossa, più che una meritoria opera di ricerca della verità storica, appare soprattutto come un tentativo della destra di cambiare i propri connotati, una riscrittura tutta politica di un periodo che ormai molte sentenze (oltre al lavoro di tanti storici) hanno ben inquadrato. Soprattutto per quello che riguarda le commistioni tra terrorismo neofascista e pezzi dello Stato: le stragi che hanno insanguinato quegli anni, seppur ancora controverse da un punto di vista giudiziario, hanno una matrice impossibile da negare.