Forse «non è il malato d’Europa» come assicura il commissario Ue agli Affari economici Paolo Gentiloni, ma di sicuro la Germania è la principale zavorra per la crescita attuale e futura dell’intera Ue.

Da Locomotiva industriale a vagone di coda del treno dell’Eurozona: il declino di Berlino adesso è conclamato ufficialmente anche da Bruxelles con le previsioni al ribasso che confermano il pessimo trend anticipato a luglio dai maggiori istituti economici tedeschi.

Secondo il Summer Economic Forecast diffuso ieri dalla Commissione Ue, la Germania si trova sull’orlo della recessione vista la performance ultra-negativa del Pil tedesco per il 2023: meno 0,4% è esattamente il doppio del -0,2% pronosticato appena lo scorso maggio, mentre per il ritorno del segno positivo a Berlino bisognerà attendere il prossimo anno ma sarà solamente +1,1% anziché il +1,4% previsto. Così anche l’inflazione, quest’anno destinata a non scendere mai sotto quota 6,4% per poi calare al 2,8% nel 2024, comunque ben al di sopra della soglia del 2% indicata da Bruxelles.

Tutt’altro che il «nuovo miracolo economico» promesso mesi fa dal cancelliere Olaf Scholz, dunque, anche se il leader Spd viene scagionato da ogni accusa direttamente da Gentiloni, pronto a puntare il dito contro la guerra in Ucraina che ha innescato soprattutto l’esponenziale aumento del prezzo dell’energia.

FIN QUI IL DANNO collaterale diretto per la Germania, eppure pesa come un macigno anche il supporto finanziario a Kiev, per la prima volta contabilizzato in chiaro dal ministro delle Finanze, Christian Lindner, nella stesura del bilancio federale 2023. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, Berlino ha girato al governo Zelensky aiuti per la stratosferica cifra di 22 miliardi di euro. «Del resto, sostenere l’Ucraina rientra pienamente nel nostro interesse nazionale, perché Kiev sta combattendo per la nostra libertà» ha ribadito Lindner al Bundestag durante il suo intervento in difesa del budget che a fronte dell’inflessibile supporto a Kiev prevede il taglio complessivo di 30 miliardi di euro della disponibilità dei ministeri tedeschi.

UN PROBLEMA POLITICO non da poco: alla maxi-spesa per l’accoglienza di oltre un milione di rifugiati ucraini (stimata dall’Ocse in 11.300 euro pro capite all’anno), che fino a oggi ha drenato le risorse soprattutto di Land ed enti locali, si somma la stanchezza per il conflitto segnalata dalla larghissima maggioranza tedeschi, come dimostra il sondaggio pubblicato dieci giorni fa della tv pubblica Ard sui loro principali problemi: solamente il 9% ha citato la guerra in Ucraina; era il 25% appena lo scorso aprile.

CERTO NON AIUTA a “pacificare” la situazione il mega-fondo per la ricostruzione delle forze armate recentemente criticato dalla Corte dei Conti. Viene fuori che basterà a malapena fino al 2027. «Oggi ci è già chiaro che dovremo finanziare direttamente la Bundeswehr con altri venticinque miliardi di euro, forse trenta», mette le mani avanti Scholz, con il ministro dell’Economia, Robert Habeck, co-leader dei Verdi, preoccupato per «i molti guai che abbiamo noi tedeschi ancora causati alle turbolenze legate all’orribile guerra di aggressione di Putin».

Non ultimo, il nodo delle stime più aggiornate sul prodotto interno lordo elaborate in Germania, perfino peggiori dell’outlook estivo della Commissione europea: a sentire gli esperti dell’Istituto Leibniz per la ricerca economica di Essen il calo del Pil quest’anno sarà dello 0,6% mentre gli analisti dell’Ifw di Kiel prevedono meno 0,5%.

PESA IL FORTE CALO di fiducia del settore manifatturiero e – come ricorda la Commissione – ciò «è particolarmente pronunciato nelle industrie ad alta intensità energetica». In Germania sono proprio le aziende che si attendono dal ministro Habeck il via libera al prezzo politico sull’energia a uso commerciale, ma il vicecancelliere dei Verdi non è riuscito a chiudere la quadra né con Scholz e tantomeno con Lindner, come da ricostruzione della Deutsche Welle. Una proposta che, peraltro, Bruxelles vedrebbe come fumo agli occhi: «Rischia di diventare un sussidio permanente in grado di distorcere la concorrenza europea».