Il parlamento europeo ha approvato dieci «atti legislativi» tra Regolamenti e Direttive, che dovrebbero attuare il Patto sulla migrazione e l’asilo, in discussione dal 2020.

Il voto in aula è stato caratterizzato da una gestione lampo della presidenza, ma occorre ricordare che saranno necessari due anni perché la nuova legislazione sia pienamente operativa. E le prossime presidenze di turno toccheranno all’Ungheria di Orban, da luglio, e poi da gennaio del 2025 alla Polonia.

Le nuove norme sulla redistribuzione obbligatoria, ma «flessibile» dei richiedenti asilo (non certo dei naufraghi o degli irregolari) tra i diversi paesi e la nuova disciplina per contrastare i cosiddetti «movimenti secondari» rimane nell’alveo del principio della competenza prevalente del paese di primo ingresso, dettato dal Regolamento Dublino del 2013. E su questi punti si registra una sconfitta del governo Meloni che aveva cercato di fare approvare criteri vincolanti più favorevoli ai paesi di primo ingresso come l’Italia.

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Tutti i nuovi regolamenti contengono elementi fortemente critici dal punto di vista della tutela dei diritti fondamentali delle persone.

Il nuovo Regolamento «screening» sull’accertamento dell’identità, ad esempio, prevede una procedura obbligatoria in frontiera nella quale dovrebbe operare la «finzione giuridica del non ingresso» nel territorio degli stati dell’Unione europea, considerata un «elemento chiave» della nuova normativa, che di fatto si risolverà nell’abbattimento delle garanzie di difesa delle persone bloccate subito dopo l’arrivo in frontiera. Si prospetta quindi il ricorso alla detenzione amministrativa generalizzata, anche per chi viene soccorso in mare, ed anche nel caso di presentazione di una richiesta di asilo. Anche se non sarà agevole giustificare la esternalizzazione del trattenimento amministrativo, sul modello del Protocollo Italia-Albania.

La valorizzazione della categoria di «paese terzo sicuro» al centro del nuovo Regolamento sulle procedure di asilo, rischia di compromettere fin dall’arrivo nel territorio l’accesso alla procedura e l’esito dell’istanza di protezione.

Il Regolamento sulle situazioni di crisi lascia ampi margini agli stati membri di ottenere deroghe al regime uniforme in materia di protezione internazionale che si va ad introdurre, Il richiamo alla strumentalizzazione della mobilità migratoria rischia di colpire le persone migranti e tutti coloro che prestano loro soccorso ed assistenza.

Non mutano le regole sui soccorsi in mare, sancite dal Regolamento Ue 656/2014, anche se proseguiranno i tentativi dei vertici europei di ottenere la modifica delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, ormai ostacolo alle politiche di abbandono in acque internazionali e di esternalizzazione dei respingimenti collettivi.

Gli atti legislativi, provenienti dall’Unione europea, e la legislazione nazionale derivata, non potranno comunque derogare le norme internazionali di natura cogente, ad esempio quelle che riconoscono il diritto di asilo, che vietano trattamenti inumani o degradanti (come l’articolo 3 della Convenzione Edu), che pongono limiti e garanzie nei casi di restrizione della libertà personale, come l’articolo 5 della stessa Convenzione).

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L’Italia e l’Unione europea sono già di fronte ad una grave emergenza democratica e, dopo le elezioni europee, si potrebbe arrivare a posizioni ancora più drastiche di sbarramento delle frontiere. Potrebbero essere tuttavia scelte politiche inefficaci, anche se disumane, perché la mobilità umana sarà comunque inarrestabile.

La protezione ad oltranza delle frontiere esterne non dà maggiore sicurezza e non allontana guerre e declino economico. Dopo anni di «stato di emergenza» e di propaganda permanente contro le migrazioni, i cittadini europei se ne accorgeranno presto, sulla loro pelle.