Economia

La festa per l’economia italiana non è mai iniziata

La festa per l’economia italiana non è mai iniziataIl governatore della Bce Mario Draghi – LaPresse

Forse per l’Italia e per l’economia italiana la festa non è mai davvero iniziata ma è certo che per l’Europa la festa, ovvero la crescita economica tanto enfatizzata dai governi […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 28 aprile 2018

Forse per l’Italia e per l’economia italiana la festa non è mai davvero iniziata ma è certo che per l’Europa la festa, ovvero la crescita economica tanto enfatizzata dai governi prima ancora che si consolidasse, potrebbe davvero finire. Parola di Mario Draghi, presidente della Bce e deus ex machina della ripresa economica alimentata finanziariamente dalla decisione della Bce di immettere liquidità nel sistema attraverso acquisti massicci dei titoli di Stato. Il cosiddetto Quantitative Easing. Una forma di neo keynesismo finanziario inventato da Mario Draghi per finanziare le imprese e superare l’impasse statutario della Bce che gli impedisce di immettere liquidità sul mercato come ha fatto la Federal Reserve negli Stati Uniti.

Secondo molti osservatori l’intervento della Bce ha avuto un ruolo decisivo nella ripresa europea, molto di più delle politiche economiche dei singoli governi. L’impatto sulle imprese è stato decisivo anche se molto selettivo visto che riguardava essenzialmente le grandi imprese e non le piccole. E quel flusso di denaro immesso sul mercato grazie all’acquisto di titoli di Stato secondo Draghi dovrà continuare per un tempo indeterminato.

La Bce aveva assicurato che sarebbe stato interrotto se i livelli inflazionistici sarebbero stati soddisfacenti. Evidentemente le cose stanno andando diversamente. Dopo anni di cauto ottimismo, il presidente della Bce, sia pure con una certa prudenza per non spaventare i mercati, ha lanciato l’ avvertimento: la crescita del 2,4% registrata nel 2017, la più alta dall’inizio della più grave crisi finanziaria del dopoguerra esplosa nel 2008, scricchiola pesantemente. E potrebbe esaurirsi a breve se permangono certi segnali provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

Draghi ha messo in guardia i governi europei e si è riferito alle mancate riforme bancarie e agli effetti possibili del protezionismo statunitense. Nella sua relazione ha detto senza mezzi termini che «hanno acquistato più preminenza i rischi connessi a fattori di carattere globale, fra cui la minaccia di maggiore protezionismo». La preoccupazione non riguarda soltanto la politica di Trump e il rallentamento dell’economia cinese. Il presidente della Bce guarda con preoccupazione anche a ciò che sta avvenendo in Europa con l’insorgere di un neo nazionalismo nei paesi dell’est che va in direzione opposta rispetto all’integrazione europea. Non solo. C’è chi dice che Draghi guardi anche con una certa apprensione al suo paese, all’Italia. Qualcuno, in previsione della scadenza del suo mandato nel 2019, aveva addirittura fatto il suo nome nell’ipotesi di un possibile governo del Presidente ma si sa anche che sono stati proprio i vincitori delle elezioni, Lega in testa, a opporsi a una simile ipotesi. Se la Lega non ne vuole proprio sapere dei tecnici alla Mario Monti, il Movimento 5 stelle ha sempre sostenuto che il prossimo presidente del consiglio non potrà essere un tecnico ma un eletto dal popolo, cioè Luigi Di Maio.

Un’altra ombra si affaccia sul vecchio continente: è la fragilità dell’Unione monetaria denunciata dallo stesso Draghi. Draghi ha detto che «l’Unione Monetaria Europea resta fragile» e di questo i politici «ne sono consapevoli»: «possiamo esserne certi di questo». Anche in questo caso Draghi pensa con preoccupazione agli euroscettici che certo non aiutano a risolvere il tema della fragilità dell’Euro.

Lo spettro di una nuova fase recessiva o di una stagnazione che interromperebbe la debole crescita italiana ed europea comincia a diffondersi anche nella comunità economica e finanziaria. Per il momento circolano soltanto timori ma la stessa Confindustria comincia a guardare con un certo nervosismo il calo di fiducia di imprese e famiglie. E la causa principale di questa sfiducia viene imputata all’instabilità politica, ovvero all’incapacità delle forze politiche che hanno vinto le elezioni di formare un governo stabile e duraturo in grado di gestire le incertezze che vengono dall’economia.

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