L’offerta mondiale di litio, utilizzato nelle batterie, è attualmente in mano ad Australia, Cile e Cina che ne producono più del novanta per cento. Ma con la l’aumento della vendita di veicoli elettrici – le batterie sono necessarie per alimentarli – la domanda di questo metallo dovrebbe salire di sei volte da qui al 2035. La «caccia» al litio è quindi aperta in tutto il mondo.

L’AFRICA E’ UNA DELLE NUOVE FRONTIERE nella corsa ai metalli per le batterie e il litio, definito anche «oro bianco» è tra i più ricercati. Giacimenti di questo metallo sono stati individuati in Zimbabwe, Namibia, Ghana, Repubblica Democratica del Congo, Mali ed Etiopia. Qual è ora il pericolo? «L’Africa si trova nel bel mezzo di una corsa al litio che, anziché portare benefici ai suoi cittadini, potrebbe finire per alimentare la corruzione e lasciare un’eredità avvelenata di inquinamento e violazioni dei diritti umani», ha dichiarato Colin Robertson, investigatore di Global Witness (www.globalwitness.org), organizzazione non governativa con uffici a Londra, Washington e Bruxelles che dal 1993 lavora per spezzare i legami tra sfruttamento delle risorse naturali, conflitti, povertà, corruzione e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo.

«LA DOMANDA GLOBALE DI LITIO è in forte aumento, poiché i produttori e i governi di Europa, Stati Uniti e Cina cercano di dominare il mercato dell’energia sostenibile – continua Robertson – e di raggiungere gli obiettivi climatici. Hanno quindi la responsabilità di chiedere maggiore trasparenza, migliori pratiche ambientali e migliori condizioni di lavoro nelle loro catene di approvvigionamento».

CONCLUSIONI CHE NASCONO da un recente Rapporto stilato proprio da Global Witness dal titolo A new rush for lithium in Africa risks fueling corrution («Una nuova corsa al litio in Africa rischia di alimentare la corruzione») che ha indagato in tre miniere di litio situate in Zimbabwe, Namibia e Repubblica Democratica del Congo. Nello specifico il Rapporto riporta che la miniera di Sandawana, in Zimbabwe, ha visto una corsa al litio che ha coinvolto migliaia di scavatori artigianali che hanno lavorato in condizioni non sicure, con segnalazioni di lavoro minorile e minatori sepolti dal crollo della miniera. All’inizio del 2023 è stato riferito – prosegue il Rapporto – che gli scavatori sono stati sfrattati, i loro minerali sono stati confiscati e la miniera sarebbe stata rilevata da società con stretti legami politici, comprese aziende soggette a sanzioni da parte degli Stati Uniti o dell’Unione Europea. Inoltre, nonostante il divieto di esportare il litio non lavorato, la miniera di Sandawana sembra essere stata esentata trasportando nel 2023 migliaia di tonnellate di minerale fuori dallo Zimbabwe.

IN NAMIBIA – SEMPRE IN QUANTO scritto nel Rapporto – un’azienda cinese è stata accusata di aver acquisito la miniera di litio di Uis, nel nord del Paese, attraverso la corruzione. È stato inoltre dimostrato che l’azienda ha sviluppato la miniera in modo industriale utilizzando i permessi destinati ai piccoli minatori locali. La popolazione locale e i parlamentari namibiani – prosegue il Rapporto – hanno inoltre accusato l’azienda cinese di porre i lavoratori in «condizioni di apartheid», di comprare i capi locali e di spaventare la fauna selvatica che porta turismo nella zona. Migliaia di tonnellate di litio, poi, sono state esportate dalla Namibia in Cina senza quasi nessuna lavorazione locale, nonostante le promesse e le speranze dei namibiani che i depositi di litio portassero posti di lavoro e sviluppo economico.

IL TERZO CASO RIPORTATO NEL RAPPORTO di Global Witness riguarda la Repubblica Democratica del Congo. Lo sviluppo del giacimento di litio di Manono – bloccato da una disputa legale che coinvolge compagnie minerarie australiane e cinesi – ha sollevato numerosi segnali di corruzione. Inoltre, la società mineraria statale, che ha firmato gli accordi di Manono, è stata accusata dall’agenzia anticorruzione della Repubblica Democratica del Congo di aver venduto i diritti sul litio a un «prezzo ridotto» e di avere in seguito «sperperato» i proventi.

TUTTI QUESTI CASI DIMOSTRANO, secondo la Ong, che con l’aumento della corsa al litio alcuni dei rischi che i paesi africani ricchi di minerali devono affrontare sono fin troppo reali. Global Witness, per evitare tutto ciò, chiede che i produttori di batterie, le case automobilistiche e i responsabili politici dei paesi compratori di questo prezioso metallo garantiscano un rigoroso controllo sulle filiere dell’approvvigionamento dei minerali.

SU QUESTO PUNTO L’UNIONE EUROPEA attraverso un regolamento obbligherà (sulla carta) i produttori a rispettare i diritti umani e l’ambiente, ma, come sempre, molto dipenderà da come sarà applicato rigorosamente dagli Stati membri. Mentre gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Cina non prevedono quasi nulla in termini di obblighi per le aziende di approvvigionarsi di minerali per batterie in modo socialmente e ambientalmente responsabili. Per il momento, secondo Global Witness, i governi sembrano in gran parte soddisfatti di lasciare che sia l’industria mineraria ad autoregolamentarsi sotto forma di standard volontari e schemi di certificazione.

COME E’ FACILE COMPRENDERE l’attuale modello economico-politico non permette all’Africa di beneficiare delle sue ricchezze naturali, come il litio. «Abbiamo bisogno – ha affermato Emmanuel Umpula di Afrewatch, osservatorio sulle risorse africane – di un modello che preveda la lavorazione locale dei minerali e la produzione di precursori di batterie per rilanciare le nostre economie. Ciò richiede misure efficaci contro la corruzione, nonché migliori condizioni di lavoro, contributi allo sviluppo delle comunità e alla tutela dell’ambiente». Servirebbe, anche, una maggior cooperazione tra i paesi africani per sviluppare congiuntamente le capacità di lavorazione dei metalli.

IL RAPPORTO INTEGRALE è disponibile sul sito internet www.globalwitness.org.