Europa

La ex Ddr dal tramonto rosso all’alba nera

Una vecchia Trabant foto ApUna vecchia Trabant – foto Ap

La questione orientale A 35 anni dalla riunificazione il Land più ricco dell’Est è distante anni-luce dal Land più povero dell’Ovest

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 1 settembre 2024

L’ultima promessa del governo dei wessi (tedeschi dell’Ovest) agli ossi (tedeschi dell’Est) per trasformare il deserto industriale della ex Ddr in «un paesaggio fiorito in cui sarà bello vivere e lavorare» – come assicurò Helmut Kohl il 1 luglio 1990 – sono i microchip di ultima generazione del colosso Infineon richiesti dall’intero mercato mondiale.

Sebbene il ministro delle Finanze, Christian Lindner, abbia tagliato con l’accetta il bilancio pubblico, i 5 miliardi di euro per costruire la fabbrica vicino a Dresda, capitale della Sassonia, sono stati reperiti fino all’ultimo cent. L’imprescindibile via libera di Bruxelles per l’evidente aiuto di Stato è arrivato infine il 20 agosto: appena in tempo per le elezioni in Sassonia e Turingia. «Daremo lavoro a decine di migliaia di disoccupati dell’Est, soprattutto giovani» è la certezza del governo Scholz per il nuovo wunder plan dedicato a risollevare le condizioni di vita dei tedeschi orientali rimaste immutate nei decenni nonostante tutti i game-changer annunciati.

La Grande Delusione
A poche ore dal voto destinato a cambiare il volto non solo della Germania dell’Est, la cifra del fallimento di tutte le promesse di Berlino è riassunta dall’incredibile dato sul reddito pro-capite: 35 anni dopo la liquidazione della Ddr il Land più ricco della dell’Est risulta ancora distante anni-luce rispetto al Land più povero dell’Ovest.

In pratica qui tutto è rimasto come prima. Nessuna novità rispetto alla Ricostruzione di Kohl capace di arricchire solo le imprese dell’Ovest, ma anche zero dagli anni dell’Agenda di Schröder, il socialdemocratico che riempì l’Est di lavoro ma sotto forma di mini-job. Poi ancora poco di niente dal ventennio di Merkel, che pure era «la ragazza dell’Est» cresciuta a Templin, nel cuore del socialismo reale. Per finire con la svolta-green promossa dalla coalizione Ampel (l’alleanza “semaforo” tra socialdemocratici, liberali e verdi), percepita subito come fumo negli occhi specialmente in Turingia: nel Land più agricolo della Germania per il cittadino-medio significa quasi solo dover cambiare l’auto e la caldaia e pagare il doppio il diesel per il trattore.

C’è poco da fare. Nel 2024 le “due Germanie” appaiono ancora distanti come durante la Guerra Fredda. Con la differenza che gli ossi oggi non possono neppure più contare sull’aiuto dei russi che fino a due anni fa si traduceva nella ricaduta diretta sull’economia dei Land orientali del mega indotto di tutto ciò che transitava attraverso le pipeline tedesche di Gazprom e Rosneft.

In ordine di tempo l’ultima delle promesse tradite da Berlino: all’epoca del raddoppio del Nordstream, voluto dalla Spd e benedetto da Merkel, il governo federale aveva assicurato che il «gasdotto della fratellanza» avrebbe garantito «posti di lavoro e la Pace in Europa».

Dissolti entrambi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, mentre la bolletta energetica straordinariamente conveniente per i Land dell’ex Ddr orientali, grazie alla joint-venture patrocinata direttamente dal governo Spd del Meclemburgo-Pomerania, era già esplosa sei mesi prima con il sabotaggio del condotto sotto il Mar Baltico.

Non stupisce se all’Est ormai quasi nessuno è disposto a credere alle parole di chi rappresenta le istituzioni; è il mantra confermato dalle analisi dei più autorevoli sociologi quanto dal vox-populi della «piccola gente» personalmente raccolto nelle campagne a cavallo fra Turingia e Sassonia da chi scrive: la kleine leute, come la chiamano qui non più solo i fascio-populisti in fissa con la propaganda del volk vessato e indifeso.

«Ho creduto a tutti. Prima sono stato comunista, finché hanno difeso il lavoro. Poi democristiano, quando la Cdu proteggeva il risparmio e pensava alla famiglia. Ora voterò per Sahra Wagenknecht, nonostante sia una wessi, solo perché non sono di destra. Se Afd avesse candidato un altro al posto del “nazi” Bjorn Höcke ci avrei pensato» sintetizza Heinz Engelman, 68 anni, coltivatore di asparagi, prima di ridurre tutto al numero da solo in grado di spiegare la sua intera transumanza politica: «La mia pensione è pari al 70% di un mio coetaneo a Monaco, Hannover o Colonia. Viviamo davvero nello stesso Paese?».

Fine di ogni residua fiducia verso il potere centrale chiunque ne sia l’incarnazione. Anche se i tedeschi dell’Est continuano a sentire, eccome, le sirene di chi a livello locale appare se non in grado di risolvere almeno di comprendere il mix di delusione e rabbia per essere considerati tedeschi di serie B sotto il profilo di salario e pensione ma anche della possibilità-chiave di accedere alla formazione professionale continua.

Fino a ieri in Turingia la maggioranza degli elettori aveva creduto fino in fondo alla piccola-grande rivoluzione della Linke, con l’attuale governatore Bodo Ramelow rieletto due volte a furor di popolo sulla spinta di un programma di «riforme social-comuniste», battezzate proprio così. Questa sera dopo lo spoglio delle urne a Erfurt il boom di Afd e Sahra Wagenknecht cancellerà per sempre anche la straordinaria esperienza della coalizione rosso-rosso-verde costruita un lustro prima della svolta centrista di Spd e Verdi.

E così i tedeschi dell’Est, nel giro di una sola generazione, vedranno cambiare ancora lo scenario dei partiti politici. Dal tramonto rosso all’alba nera, di nuovo, come un secolo fa.

Nemesi storica
Quarantotto mesi dopo la rivoluzione di Lenin la Turingia era già la roccaforte rossa della neonata Repubblica di Weimar. Nel 1923 venne varata perfino una coalizione rosso-rosso tra i socialisti della Spd, all’epoca internazionalisti, e i comunisti della Kpd. Pochi anni dopo alle elezioni del 1932, alla vigilia della conquista del potere a livello nazionale, a Erfurt trionferanno i nazisti della Nsdap con il 43% dei voti: avevano tenuto il loro primo congresso nel 1926 proprio nella capitale del socialismo all’epoca per niente uncinato con il virus del nazionalismo.

Come era potuto accadere nella terra dei consigli di fabbrica, nella regione-modello del movimento operaio capace di introdurre cambiamenti sociali mai visti prima in Turingia, a partire dal veto alle punizioni corporali agli studenti? Leggendo le motivazioni di chi passò dall’altra parte della barricata scritte nei documenti storici si possono scorgere appena le ragioni di ieri, ma resta pur sempre una cartina di tornasole sintomatica per ciò che accade oggi.

C’è il comunista della prima ora che lavora a domicilio e perciò non viene più invitato alle riunioni del sindacato che si tengono ormai esclusivamente in fabbrica. L’unico a bussare alla sua porta «con l’orecchio rivolto all’ascolto» è il militante nazi che fa propaganda casa per casa. Oppure l’artigiano indipendente, da sempre impegnato nell’associazionismo progressista di matrice protestante, spaventato a morte perché i suoi due garzoni a libro paga cominciano a chiedere un trattamento economico «insostenibile» e già lo chiamano «padrone».
Fa il paio con il caso tutto politico registrato a Steinach, riportato alla luce non solo sulle colonne della Taz. «Un operaio di una vetreria si è dimesso dal sindacato rosso dopo una lite con il presidente. Una volta passato alla Nsbo, una specie di sindacato nazista, è diventato subito il leader locale. Poiché l’ex antifascista era molto popolare in tutta la Turingia è riuscito a convincere moltissimi operai a passare con Hitler». Piccole banalità del maldipancia della questione orientale.

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