Internazionale

La dottrina Dahiyeh: la guerra è contro i civili, tutti

Un negozio danneggiato da un’esplosione ieri a Sidone Ap/Mohammed ZaatariUn negozio danneggiato da un’esplosione ieri a Sidone – Ap/Mohammed Zaatari

Medio Oriente L’attacco terroristico israeliano del 17 e 18 settembre, proprio per il suo carattere indiscriminato, ha rotto i confini, concettuali prima che geografici, tra Hezbollah e il Libano. Tel Aviv sta smantellando le norme della condotta militare, riesumando le pratiche delle offensive coloniali

Pubblicato 8 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

Il 17 e 18 settembre 2024 Israele ha condotto contro il Libano uno degli attacchi terroristici indiscriminati più insidiosi della storia delle guerre non convenzionali, facendo esplodere simultaneamente migliaia di beepers in cui sembrerebbe che l’intelligence israeliana avesse inserito piccole quantità di esplosivo prima che entrassero nel mercato libanese e finissero in larga misura nelle mani dei combattenti di Hezbollah, ma anche medici e paramedici e altri civili che usano questi dispositivi.

Ciò che Israele sta facendo in questi giorni Libano, come in Palestina, è testare quanto riesca a spostare a suo vantaggio e in maniera definitiva il confine tra i suoi obiettivi strategici e l’ordine normativo internazionale, fondato sulla dicotomia tra stati che hanno obblighi e individui che hanno diritti.

L’ATTACCO terroristico partito il 17 e continuato il 18 settembre è stato presentato, secondo una tradizione tanto consolidata quanto problematica, come l’ennesima parentesi di una «guerra tra Israele e Hezbollah», elidendo dall’equazione – come di routine – lo stato libanese e soprattutto la popolazione civile.

Israele e i suoi alleati – soprattutto gli Stati uniti – tengono molto a questa definizione del contesto che ha principalmente la funzione di paravento legalistico con cui Israele, definendo Hezbollah un gruppo terroristico e invocando l’eccezionalità della minaccia, si arroga il diritto di ignorare il diritto umanitario internazionale e perfino condurre azioni terroristiche indiscriminate su larga scala come quelle del 17 e 18 settembre.

È con questa narrazione che Israele ha sistematicamente giustificato i suoi interventi militari in Libano, provocato migliaia di vittime civili, condotto violazioni quotidiane della sovranità del Libano e attaccato persino i funzionari e le infrastrutture di Unifil, la missione delle Nazioni unite preposta al mantenimento della pace nella zona meridionale del Libano sotto il fiume Litani.

Tuttavia, la tenuta della guerra al terrore, per quanto ideologicamente attraente per le élite liberali occidentali, è sempre stata concettualmente debole. La condotta di Israele nelle guerre in Libano si è sempre sistematicamente tarata sulla vittimizzazione dei civili, dall’invasione del Libano nel 1982 fino alla definizione della «dottrina Dahiyeh», ovvero la vittimizzazione intenzionale dei civili e delle infrastrutture civili per costringere il nemico alla resa, che prende il nome della periferia sud di Beirut (la Dahiyeh, per l’appunto) dove Israele testò questa crudele tattica terroristica per la prima volta durante la sua invasione del Libano nel luglio 2006, provocando in 33 giorni 1.300 vittime civili e un milione di sfollati.

Nonostante il suo carattere effimero, cinico e strumentale, questa narrazione è stata a lungo mantenuta in piedi da buona parte della stampa internazionale e libanese che ha di fatto «razzializzato» la popolazione (in gran parte sciita) della Dahiyeh o del sud del Libano, tradizionalmente considerata come la base popolare di Hezbollah e quindi ritenuta come più sacrificabile di altri segmenti della popolazione civile libanese.

L’attacco del 17 settembre, tuttavia, proprio per il suo carattere indiscriminato ha rotto i confini – concettuali prima ancora che geografici – tra Hezbollah e il Libano: non solo tra aree sotto il controllo di Hezbollah e non, ma soprattutto tra la base popolare di Hezbollah e il resto della popolazione libanese, nell’economia del progetto israeliano che mira ormai apertamente alla totale conquista della Palestina e alla parallela sottomissione e pacificazione dell’intera regione mediorientale.

SEBBENE buona parte della stampa e intellighenzia liberale internazionale abbia accolto questo attacco terroristico con un entusiastico plauso alla «sofisticazione» e «l’ingegno» di questo ennesimo crimine di guerra israeliano, l’attacco sta terrorizzando l’intera popolazione civile libanese. Persino l’Unione europea ha dovuto condannare, seppur con termini molto soffici, l’attacco indiscriminato, ricordando che i «danni collaterali» (il termine distopico-legalistico dei campioni della ‘guerra al terrore’ che nel linguaggio umano potremmo tradurre con «vittimizzazione di civili innocenti») sono stati elevatissimi e che ci sono anche molti bambini tra i 12 morti e 2.800 feriti che Israele ha provocato con il suo attacco.

Giunto all’akmé del suo progetto suprematista, culminato nel genocidio della popolazione palestinese di Gaza in estensione verso la Cisgiordania (ormai designata ufficialmente come «zona di combattimento» e lasciata al libero arbitrio dei coloni), Israele sta contemporaneamente chiudendo la partita con i suoi vicini, partendo – non sorprendentemente – dal Libano.

Il messaggio è chiaro: la «dottrina Dahiyeh», sofisticata durante il genocidio di Gaza, potrebbe essere facilmente scatenata contro qualsiasi popolazione civile, che non capitoli al disegno israeliano di un «nuovo Medioriente», ovvero quella che di fatto Israele ha delineato nei famosi e infami accordi di Abramo come una regione del tutto asservita ai suoi interessi.

Non è un caso che, a seguito dell’invio di razzi che Hezbollah ha lanciato contro Israele in risposta all’attentato dei beepers, l’account twitter del ministero degli affari esteri israeliano abbia ufficialmente designando non Hezbollah, ma il «governo libanese», come direttamente «responsabile» per la risposta militare al suo stesso attacco terroristico. Sebbene l’assimilazione tra Hezbollah e il governo libanese non sia inedita nel dibattito politico, pubblico e mediatico israeliano, questa designazione alza la posta mentre Israele ha dichiarato di voler risolvere la questione securitaria al confine nord, minacciando di fatto il Libano come stato, e dunque la sua popolazione civile che lo rappresenta.

IN QUESTO senso di onnipotenza militare – sostenuto e finanziato dagli Stati uniti che hanno versato a Israele 6,5 miliardi di dollari in aiuti militari solo a partire dal 7 ottobre 2023, a cui se ne sono aggiunti altri 3,5 miliardi di misure eccezionali approvate dal Congresso ad agosto 2024 – Israele sta di fatto ufficializzando un processo di smantellamento delle norme che regolano la condotta in guerra, riesumando le più crudeli pratiche delle guerre coloniali del XIX e XX secolo: nullificando così volgarmente le norme cristallizzate nel diritto umanitario internazionale (che se di certo non rendono la guerra più umana quantomeno la rendono più prevedibile) Israele sta lasciando intendere non solo alle popolazioni arabe già abituate a sentire il peso delle gerarchie razziali sulle loro vite, ma a tutti noi, appartenenti all’umanità, che nessuno può sentirsi al sicuro, che le nostre vite sono ancillari rispetto a qualsiasi progetto politico suprematista che legga la nostra stessa esistenza come una forma di resistenza alla sua completa realizzazione.

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