«La diplomazia scientifica è già al lavoro per la pace»
Intervista Parla Simone Turchetti, professore di Storia della scienza all’università di Manchester (Regno Unito)
Intervista Parla Simone Turchetti, professore di Storia della scienza all’università di Manchester (Regno Unito)
Il Cern di Ginevra ha fatto sapere di voler sospendere le relazioni scientifiche con la Russia. Allo stesso tempo il Consiglio del Cern ha espresso «il proprio sostegno per i numerosi membri della comunità scientifica russa che rifiutano questa invasione». L’invasione dell’Ucraina sta ponendo la comunità scientifica di fronte a un bivio: mantenere i rapporti con la Russia in nome dell’universalismo della conoscenza, o fermare le collaborazioni per fare pressione sul Cremlino e fermare la guerra all’Ucraina? Negli ultimi tre decenni, Russia, Ue e Usa hanno avviato collaborazioni proprio nei programmi scientifici più ambiziosi: dalla Stazione Spaziale Internazionale ai progetti sulla fusione nucleare e allo stesso Cern. Una sorta di «diplomazia parallela» che in realtà esisteva anche prima della caduta del Muro di Berlino, spiega Simone Turchetti, professore di Storia della scienza all’università di Manchester (Regno Unito) dove studia il rapporto tra progresso scientifico e relazioni internazionali.
Quali sono i canali della «diplomazia scientifica»?
C’è il canale istituzionale, quello delle collaborazioni tra agenzie scientifiche di Paesi che magari a livello politico hanno cattivi rapporti. E che può anche aiutare a migliorare le relazioni tra i governi. Poi c’è il canale ufficioso, quello di organizzazioni indipendenti degli scienziati, in cui non sono i governi a controllare i negoziati. Penso ad esempio al Pugwash, il movimento degli scienziati che ha promosso il disarmo nucleare e che per questo ha anche vinto il premio Nobel per la pace nel 1995.
Questi collegamenti resistono alle tensioni geopolitiche?
Negli incidenti, le prime a rompersi sono le relazioni istituzionali. Negli Usa, il Mit di Boston ha sospeso le relazioni con il centro di ricerca «Skolkovo» di Mosca. L’Unione Europea ha preso decisioni molto drastiche riguardo i programmi di ricerca Horizon Europe e Horizon 2020 (oltre 170 miliardi di euro di budget) che finanziava anche collaborazioni tra ricercatori europei e russi. D’ora in poi, i pagamenti ai partner russi saranno sospesi e non saranno avviate nuove collaborazioni. Le università stanno seguendo i governi, così come hanno fatto anche le aziende private, da Apple a McDonald.
Significa rompere i rapporti anche con chi dissente dal Cremlino.
Ovviamente, in questo momento la priorità è mostrare solidarietà con l’Ucraina ed è bene che la comunità scientifica faccia la sua parte per sostenere i ricercatori ucraini. Però, la società russa non è interamente schierata con Putin. Anzi, una parte consistente degli scienziati russi si sta attivando contro la guerra. La lettera aperta di scienziati e giornalisti scientifici russi contro l’invasione ha raccolto settemila firme, prima che intervenisse la censura. Chi lo ha sottoscritto oggi si trova in una situazione scomoda. C’è la necessità di mantenere aperti questi canali per difendere i dissidenti. La guerra non si vincerà o perderà solo sul piano militare. Saranno decisive le pressioni finanziarie, economiche e pure accademiche.
Come si concilia la solidarietà all’Ucraina ma anche ai colleghi russi non schierati con Putin?
La American Association for the Advancement of Science, che ha coniato l’espressione «diplomazia scientifica», ha proposto la strategia del bastone e della carota. Cioè stretto isolamento della Russia, con meno eccezioni possibile, finché non sarà ripristinata la sovranità dell’Ucraina. E insieme la promessa di legami più stretti, collaborazione e sostegno a ogni componente non militare della società civile russa, e non solo agli scienziati, una volta che in Russia si sia insediato un governo più democratico. Ovviamente, interrompere i rapporti è più facile in alcuni settori che in altri. Per esempio, nelle discipline umanistiche si possono sospendere senza troppi problemi. Ma non vedo altra strada, anche per progetti scientifici ambiziosi come Iter, o in campi come le tecnologie informatiche.
Eppure, la collaborazione tra i blocchi è avvenuta persino durante la Guerra Fredda.
La Guerra Fredda è stata raccontata come una contrapposizione rigida tra due blocchi, con una barriera impenetrabile a dividerli. In realtà, la barriera era più porosa di quanto si pensi. C’erano comunque collaborazioni occidentali con i ricercatori russi, ad esempio da Paesi come Italia e Finlandia. E ci sono stati molti contatti tra scienziati statunitensi e russi proprio per affrontare lo spettro dell’”inverno nucleare” in caso di un conflitto. Paradossalmente, le relazioni tra scienziati interessati al disarmo non si interrompevano con gli incidenti e le tensioni periodiche tra i due blocchi, ma al contrario si rafforzavano proprio per l’aumento del rischio. Ma quella cooperazione non aveva nulla a che fare con la rete di relazioni attuale, che è davvero globale e comprende anche Russia e Cina. È una situazione inedita, che appartiene solo a questo secolo.
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