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La detenzione amministrativa al collasso che Meloni esternalizza in Albania

Una manifestazione contro i cpr a Bologna foto LaPresseUna manifestazione contro i cpr a Bologna foto LaPresse

Immigrazione È l’ennesima conferma del disastro del modello “misto” dei centri di accoglienza/detenzione che si è voluto instaurare in Italia, dopo la demolizione del sistema di accoglienza

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 26 gennaio 2024

Che significa la recente protesta dei migranti trattenuti nel centro di detenzione amministrativa di Trapani, da tempo caratterizzato per la coesistenza, in diversi fabbricati e nello stesso recinto, di un Cpr (Centro per rimpatri) e di un Centro Hotspot (punto di crisi)? Centri nel quale svolgere le procedure accelerate in frontiera, riservate ai richiedenti asilo provenienti da paesi terzi ritenuti “sicuri”, come ad esempio la Tunisia? È soltanto l’ennesima conferma del collasso del sistema “misto” dei centri di accoglienza/detenzione che si è voluto instaurare in Italia, dopo la demolizione di un vero sistema di accoglienza (Sai), la moltiplicazione delle strutture emergenziali (Cas) e la degenerazione della detenzione amministrativa, applicata anche al di fuori di procedure formali, in luoghi che non garantiscono alcun rispetto dei diritti umani delle persone migranti.

UN FALLIMENTO della detenzione amministrativa che, dopo gli scandali nei Cpr di Milano (via Corelli) e di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, sui quali sono in corso indagini giudiziarie, è emerso nel centro hotspot di Modica-Pozzallo. Una struttura attivata negli ultimi mesi dello scorso anno, che dopo la mancata convalida dei provvedimenti di trattenimento adottati dalla questura di Ragusa è rimasta vuota, in attesa, forse, del pronunciamento della Corte di Cassazione a sezioni unite, su ricorso dell’Avvocatura dello Stato per conto del governo, contro le coraggiose decisioni dei giudici catanesi, oggetto di una feroce campagna mediatica. Intanto i piani del governo per aprire ben dieci centri di detenzione sono bloccati dalle resistenze delle comunità locali, anche di quelle a guida leghista, che non vogliono carceri per migranti irregolari nei loro territori. Si può stimare così che oggi in tutta Italia rimangono disponibili non più di mille posti, sulla carta, in realtà sono anche meno (si può stimare attorno a 700), nei centri per i rimpatri (Cpr) veri e propri, mentre dilaga la detenzione informale, in luoghi diversi individuati dalle autorità di pubblica sicurezza per persone che rimangono prive della libertà, in condizioni igienico sanitarie pessime, e senza neppure la possibilità di formalizzare tempestivamente una richiesta di asilo. Con rischi sempre più frequenti che questo sistema fagociti minori non accompagnati scambiati per adulti, e vittime di tortura o malati che non riescono a fare emergere le loro condizioni di vulnerabilità.

DI FRONTE A QUESTA situazione che si tiene nascosta all’opinione pubblica, come si è tentato fino all’ultimo nel caso delle proteste nel centro di detenzione a Trapani-Milo, il governo spinge l’onda della propaganda sui nuovi centri di transito e di detenzione che si dovrebbero aprire in Albania entro qualche mese, addirittura con una capienza di tremila posti, più del triplo della capienza dei centri di detenzione che si riesce a tenere aperti in Italia.

Al di là della propaganda, di sicuro effetto elettorale, preoccupa la previsione contenuta nel disegno di legge di ratifica del Protocollo d’intesa, secondo cui la nuova struttura detentiva da realizzare a Gjader avrebbe le stesse caratteristiche del centro di detenzione con funzioni miste di Trapani-Milo, con gli stessi rischi di continue proteste: una parte centro di accoglienza/detenzione per richiedenti asilo in procedura accelerata perché provenienti da un paese terzo ritenuto “sicuro”, ed una parte che dovrebbe funzionare come Cpr (centro per i rimpatri) a tutti gli effetti, anche per la durata prolungata della detenzione, che potrebbe estendersi in base al decreto legge 124/2023 fino a diciotto mesi, come in territorio italiano.

IN ENTRAMBE LE STRUTTURE di accoglienza( detenzione in Albania, ammesso che si riesca ad aprirle prima delle elezioni europee, si corre il rischio che si ripeta quello che è già successo in altre strutture simili in Italia, con il trattenimento amministrativo prolungato oltre i termini di legge ed in assenza di provvedimenti formali che si possano impugnare davanti ad un tribunale, senza la possibilità di una difesa effettiva, che va garantita a tutti in base all’art. 24 della Costituzione. In ogni caso, con tempi di trattenimento amministrativo tanto prolungati, la previsione che di (de)portare in Albania migliaia di migranti soccorsi in mare appare del tutto irrealistica e dimostra la natura elettorale dell’accordo tra la Meloni ed il premier albanese Edi Rama, un accordo che è ancora all’esame della Corte costituzionale albanese.

NON SI POSSONO legittimare in alcun modo, o esternalizzare in Albania, prassi di polizia largamente discrezionali che si traducono nella privazione della libertà personale delle persone “ristrette”, non solo nei Cpr, ma anche nei centri di accoglienza/detenzione denominati Hotspot (punti di crisi), o adibiti a funzione di Hotspot, utilizzati di fatto come luoghi di detenzione amministrativa sottratti non solo ad un effettivo controllo dei giudici, ma anche all’esercizio del diritto di visita da parte dei giornalisti e delle organizzazioni non governative.
Secondo l’art. 10 ter del T.U. 286/98, che ai fini della identificazione prevedeva strutture destinate alle “procedure di frontiera con trattenimento “, anche in luoghi diversi dalle località di sbarco, non deve subire trattamenti inumani o degradanti, ha diritto di accesso ad un avvocato di fiducia, e soprattutto deve ricevere «l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito».

Con la sentenza del 23 novembre dello scorso anno sul caso «A.T. and Others v. Italy», la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha condannato ancora una volta l’Italia per la detenzione informale, senza basi legali, in un centro di accoglienza/detenzione “Hotspot”. I giudici di Strasburgo hanno sanzionato l’Italia in numerose sentenze analoghe anche per trattamenti inumani e degradanti, per il sovraffollamento della struttura, per la mancata nomina di un tutore dei minori, e per la violazione degli obblighi di informazione.

TOCCA ADESSO alla Corte di Cassazione a sezioni unite riaffermare, con riferimento ai migranti richiedenti asilo, trattenuti in procedura accelerata nel centro Hotspot di Modica-Pozzallo, ma con una sentenza attesa a breve, che avrà ricadute anche negli altri centri di detenzione amministrativa, e sulla futura applicazione del Memorandum Italia-Albania, il principio dell’“habeas corpus”, cardine dello Stato di diritto (rule of law), principio che, nel nostro ordinamento, è ribadito con carattere inderogabile dall’art. 13 della Costituzione a garanzia di stranieri e cittadini italiani.

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