La ministra del lavoro Marina Calderone ha manifestato la sua intenzione di allargare la possibilità di stipulare contratti a termine. A Francesco Silvestri, capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle, chiediamo che segnale rappresenta questo provvedimento in piena crisi. «Si tratta di un segnale sbagliato – risponde Silvestri – Già sul precariato i governi sia di destra che di sinistra ci avevano lasciato tante chiacchiere e poi il Jobs act. Noi appena arrivati al governo abbiamo preso tre misure. Il reddito di cittadinanza, la legge anticorruzione e il decreto dignità. Il reddito doveva servire a chi in quel momento era in difficoltà. Il decreto dignità aveva lo scopo di stabilizzare il lavoro e la vita delle persone oltre a creare investimenti. Le norme contro la corruzione erano pensate per mettere in sicurezza le imprese dalle maglie della criminalità organizzata».

Adesso cosa cambia?
Succede che la destra colpisce le nostre riforme con l’obiettivo di ricreare un modello neoliberista, con lavori usa e getta e ricattabili, creando una schiavitù 2.0.

Eppure Calderone invita a non leggere «solo in chiave negativa» la flessibilità. La ministra sostiene che un contratto a tempo determinato «non è di per sé una forma di precarizzazione» laddove esisterebbe la possibilità di adottarlo «in modo sapiente»…
È assolutamente un errore non considerare la relazione tra precarietà e flessibilità. Significa assecondare ancora una volta i criteri di una imprenditoria sbagliata, che non contribuisce alla crescita. Il ministro parla di un paese che non conosce. Se avesse guardato l’ultimo rapporto Inapp scoprirebbe che solo dal 35 al 40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni a impieghi stabili. Il part time involontario in Italia coinvolge l’11,3% dei lavoratori contro una media Ocse del 3,2% e colpisce soprattutto le donne. Ancora, il decreto dignità nel 2019 ha fatto crescere del 32% i passaggi da determinato a indeterminato. Questo significa che stanno colpendo misure che hanno ottenuto risultati positivi. Ecco perché sostengo che il governo ha un’impostazione ideologica, prescinde dai dati concreti.

Ci troviamo di fronte a una forma sovranista del neoliberismo?
Assolutamente sì. Come Movimento 5 Stelle abbiamo sempre dato soluzioni completamente diverse: ora ci vorrebbe la legge sul salario minimo, il rafforzamento del reddito di cittadinanza e la riduzione del lavoro a parità di salario. Questa è la strada che può ridare linfa vitale a questo paese, non le politiche di Meloni.

Da pochi giorni i sondaggi indicano che il consenso per la destra comincia a frenare. La luna di miele di Meloni col paese si infrangerà proprio sui temi sociali?
Hanno fatto tante promesse ma poi hanno compiuto tantissime inversioni a u sui grandi temi: dal fisco all’ambiente fino alla giustizia. Non ultime le stupidaggini sulle intercettazioni e il colpo di coda fatto sulla benzina che sta creando un problema nella vita delle famiglia e questo la gente la vede. Penso che il consenso per questo governò cadrà sui temi sociali ed è importante che come M5S forniamo un’alternativa progressista, per bloccare misure completamente sbagliate, per la nostra economia e per le prospettive sociali.

C’è il rischio che la destra sul lavoro e le forme contrattuali trovi sponda in Renzi e Calenda come sta accadendo per altri temi?
Nei fatti è già così. Molte volte in parlamento votano con la destra, l’ultima volta sulla risoluzione sulla giustizia e sulle pericolosissime affermazioni del ministro Nordio a proposito di intercettazioni. Lo stesso vale per i temi dell’ambiente. Chi pensa che l’asse tra destre e Terzo polo sia una possibilità dovrebbe sapere che è una realtà: sta già avvenendo in questi giorni. Ecco perché chiediamo chiarimenti politici all’asse progressista, perché la destra la batti solo con un programma chiaro e con l’alternativa delle azioni.