La destra intercetta l’astensione. La sinistra no
Germania Il fascismo, quello storico e quello postmoderno, hanno questo in comune: la perversione-sostituzione dei movimenti sociali in direzione di una società appiattita (i nazisti disponevano di un termine specifico per designarla: gleichschalten) sotto lo scettro di un potere autoritario. Attenzione, dunque, a maledire superficialmente l’astensione
Germania Il fascismo, quello storico e quello postmoderno, hanno questo in comune: la perversione-sostituzione dei movimenti sociali in direzione di una società appiattita (i nazisti disponevano di un termine specifico per designarla: gleichschalten) sotto lo scettro di un potere autoritario. Attenzione, dunque, a maledire superficialmente l’astensione
Di sorprese, nelle elezioni regionali in Sassonia e Brandeburgo, non ce ne sono state. Purtroppo e per fortuna. Secondo una tendenza ormai consolidata la destra estrema avanza a grandi passi, ma non riesce a conquistare la maggioranza relativa né a rompere la conventio ad excludendum che ne delimita, pur con qualche crepa, il confine politico. Mentre il declino dei grandi partiti popolari del dopoguerra si aggrava ad ogni tornata elettorale, in forme quasi terminali per la Spd, la Linke crolla rovinosamente proprio nelle sue storiche roccaforti vedendo dissolversi il suo ruolo di partito popolare nei Laender della ex Rdt.
Ma se la destra xenofoba di Alternative fuer Deutschland non è riuscita a rovesciare gli equilibri politici, ha nondimeno conseguito un risultato sociale e culturale decisamente allarmante. Dalle prime analisi del voto sembrerebbe che Afd, soprattutto in Sassonia, abbia spostato a proprio vantaggio una grossa fetta di astensione e intercettato massicciamente il voto giovanile.
L’astensione, nelle democrazie occidentali, è una forma di espressione del “disincanto”, una testimonianza del fatto che l’offerta politica dei partiti, di tutti i partiti, è da molti giudicata insufficiente (o mendace) nell’influire sulle condizioni di vita dei cittadini. Difficilmente può essere riassorbita (salvo eventi straordinari o traumatici) dai partiti dell’establishment poiché è proprio a questo quadro di stabilità che gli astensionisti si pongono in antitesi. Il grosso guaio si produce quando il disincanto cede il passo a una qualche forma di “incantamento, quando lo scetticismo prende la strada diametralmente opposta del fanatismo. Quando non sono più l’agire collettivo, le pratiche condivise, il rifiuto consapevole delle illusioni che il potere costituito dispensa a convogliare il disincanto, ma le note incantatrici di un pifferaio magico.
Il fascismo, quello storico e quello postmoderno, hanno questo in comune: la perversione-sostituzione dei movimenti sociali in direzione di una società appiattita (i nazisti disponevano di un termine specifico per designarla: gleichschalten) sotto lo scettro di un potere autoritario. Attenzione, dunque, a maledire superficialmente l’astensione, questo argine all’inclinazione totalizzante dei capi così come alla pretesa delle “forze costituzionali” di avere risposte e soluzioni per la soddisfazione di tutti. La crisi della rappresentanza è in fondo l’elemento che conferisce a quest’ultima una qualche verità. Senza questa consapevolezza non è improbabile che essa varchi la porta dello stato autoritario. Se c’è un insegnamento che dobbiamo trarre dal voto in Sassonia e Brandeburgo è
proprio questo.
Il secondo segnale di allarme è il successo dell’estrema destra tra gli elettori più giovani. Che è andato allargandosi mano mano che la Afd, da partito borghese fondato sull’egoismo sociale e la difesa della piccola rendita finanziaria dai costi del welfare e della solidarietà sociale andava trasformandosi in una formazione radicale centrata sul nazionalismo e l’odio xenofobo (un percorso del tutto analogo da quello che ha seguito la Lega in Italia). Anche in questo caso è una forma di incantamento che agisce sulla distanza generazionale dall’esperienza storica del Novecento, sulla sostanziale incomprensione dei fattori, le ideologie e gli interessi che hanno accompagnato il brutale “apprendistato liberista” della Germania orientale e lo squilibrio tra Est e Ovest che tutt’ora permane, nonché sulla messa in scena di un movimento di “riscatto nazionale”.
La diga politica eretta da tutti i partiti intorno alla Afd come possibile forza di governo non scalfisce la sua capacità di avvelenamento culturale della società.
L’affermarsi tra i giovani dell’Est degli stati d’animo alimentati dalla sua propaganda ha anche delle immediate conseguenze pratiche: il moltiplicarsi di aggressioni, attentati e azioni violente di matrice razzista. Che nella loro evidente escalation non sembrano spaventare, fra l’altro, l’elettorato più borghese. Nel dopoguerra i molti nazisti riciclati nella Bundesrepublik dovettero nascondere le loro inclinazioni, accontentandosi dell’anticomunismo viscerale ma atlantico consentito dalla Guerra fredda. Oggi la rivendicazione del “primato germanico” non conosce più alcun pudore.
A sinistra, la Linke non solo non attinge in alcun modo dal bacino dell’astensione, ma perde elettori su ogni versante. Cresciuta negli anni in cui, rompendo con il passato della Rdt intendeva comunque proteggere la Germania dell’est da un processo di pura e semplice colonizzazione occidentale, sospinta all’Ovest dal fondamentalismo liberale della Spd, sembra essersi insabbiata, lacerata dai suoi conflitti interni. Né la prospettiva di fungere da correttivo sociale a una socialdemocrazia allo sbando e al tramonto costituisce un motivo di attrazione. Il disincanto se non resta fedele a sé stesso guarda a destra.
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