La destra ha un nome per il Lazio. È quello del cinquantasettenne Francesco Rocca, che ieri ha annunciato la sua candidatura alla presidenza della Regione dando le dimissioni dalla presidenza della Croce Rossa Italiana.

«Ho scelto di mettermi a disposizione del territorio» si legge nella lettera in cui comunica la decisione e spiega di aver «accettato una nuova sfida in cui credo fortemente» in qualità di «esperto di sanità pubblica».

La sua, infatti, è presentata come una candidatura «civica» che a destra mette d’accordo tutti. «Sarebbe un’ottima scelta, i cittadini di Roma e del Lazio saranno in ottime mani» ha twittato Matteo Salvini. «Unisce l’esperienza tecnica, la capacità politica e lo spessore culturale per ricoprire questo incarico» detta alle agenzie anche Gianni Alemanno, che da sindaco di Roma aveva affidato a Rocca il dipartimento Salute.

In realtà, sbandierare il curriculum del candidato serve a smarcarlo da uno scomodo ballottaggio con il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, identitario ma divisivo, che sul piano politico avrebbe potuto giocarsi più di una carta. È il padrino politico della premier sin dai tempi di Colle Oppio. Anche Maurizio Gasparri, una vita nella destra romana e oggi coordinatore forzista in regione, ha remato per lui fino all’ultimo. Ma alla fine Rampelli è stato di nuovo sacrificato, come già è successo per le nomine ai ministeri. Paga, si dice, l’intransigenza contro l’inceneritore proposto da Gualtieri su cui la premier ha una posizione più morbida, visto che in altre regioni sono i suoi uomini a volerne costruire uno.

In realtà, Francesco Rocca non è Michetti, il fallimentare candidato della destra – immancabilmente «civico» – alle ultime amministrative romane. Il pedigree del presidente della Croce Rossa è collaudato.

A Ostia, dove Rocca è cresciuto e ha studiato al liceo «Anco Marzio», lo ricordano ancora giovane militante del Fronte della Gioventù negli anni ‘80, epoca di intimidazioni quotidiane, e non solo verbali, contro gli studenti di sinistra.

Quando le scorribande passarono il segno, sotto casa apparve la scritta «Rocca ora basta», firmata da una falce e martello. Invece di frenare, Rocca accelerò: con una sbandata simile a quella di tanti presunti militanti «legge e ordine» nel 1986 Rocca viene condannato a tre anni di reclusione, ridotti a uno in appello, per spaccio di eroina. «È vero, ho sbagliato e ho pagato per i miei errori» disse quando anni dopo la storia riemerse. «Ma ho anche cercato di vivere una vita nel segno del riscatto, del sacrificio, dell’aiuto a chi ha bisogno».

Dopo la condanna arriva la laurea in legge e il volontariato: i rifugiati con i gesuiti, la Caritas, il Cottolengo. Senza allontanarsi troppo dalla casa madre: dopo una breve parentesi da avvocato – ha difeso pentiti calabresi finendo anche sotto scorta – il presidente della regione Lazio Francesco Storace lo porta in sanità nel 2002, a risanare e poi dirigere l’ospedale S. Andrea di Roma.

Nel 2008 è alla corte di Alemanno. Tre anni dopo è commissario della Asl Napoli e nel 2017 direttore generale all’Istituto Dermatologico dell’Immacolata. Ma il suo regno rimane la Croce Rossa, che sotto la sua egida viene trasformato da carrozzone pubblico a ente privato su mandato del governo Monti e con l’apprezzamento anche del ministro Speranza, con cui condivide molte responsabilità durante l’emergenza Covid.

Nell’organizzazione Rocca arriva per la prima volta nel 2008 in veste di commissario. Nel 2013 conquista la presidenza e la tiene per tre mandati – fino a ieri – sebbene lo statuto dell’ente ne consenta solo due consecutivi. E dal 2017 è anche al vertice della Federazione Internazionale delle Società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa di 192 Paesi.

Anche alla Croce Rossa ritrova vecchi arnesi della destra radicale, come l’ex-Nar Paolo Pizzonia membro della segreteria. «Non l’ho contrattualizzato io» ha protestato Rocca a chi gli ha rimproverato amicizie pericolose, «non mi fate passare per quello che non sono e non sono mai stato, ovvero un neofascista».

Qualcuno dell’area però alla Croce Rossa lo ha portato lui, che nel 2017 come capo di gabinetto, portavoce e responsabile comunicazione ha chiamato l’ex-Terza Posizione Marcello De Angelis.