Bernard porta con sé la memoria di una vita che è non solo la sua  e a partire da un’esperienza personalissima condivide quella di anni che hanno attraversato tragedie e leggerezza, e quella mai passata di vissuti che combattono per affermare la libertà delle proprie scelte. Adottato da una famiglia severa e distante, il padre come racconta che è morto prima di scoprirlo e la madre che mai ha accettato la sua omosessualità, il trauma della morte del compagno amatissimo di Aids, Bernard vive oggi solo a 63 anni insieme alle sue (bellissime) gatte a Parigi.

Quando lo incontriamo sullo schermo non c’è solo l’età, un compleanno festeggiato insieme agli amici, e la solitudine decisa e non subita  su cui forse inizia a interrogarsi, c’è anche il traumatico passaggio da una casa all’altra, l’appartamento nuovo che porta in sé il desiderio di cambiamento e insieme la sua paura. Ma La dernière séance non è un film su Bernard, pure se ne è il protagonista sempre davanti all’obiettivo di Gianluca Matarrese, che è il regista del film con cui si è chiusa la Settimana della critica, prima edizione firmata da Beatrice Fiorentino. Piuttosto è la storia di un incontro tra un uomo e un ragazzo, l’autore   stesso, nel rito del sadomaso col suo teatro e le sue messinscena, e nella sorpresa di una reciproca scoperta, di un sentimento che cresce, che si afferma, che si fa amicizia, amore, complicità, che apre una zona intima dell’uomo all’altro mai condivisa. 

La vita insomma con i suoi imprevisti, frammenti di esistenze che si fondono nelle scoperte, nelle delusioni. E gli atti  mancati dello spavento di una perdita – come quando una delle gattine sparisce nel quartiere ancora ignoto lasciando Bernard nella disperazione. Gianluca filma e «organizza» il racconto di questi giorni attraverso messaggi che i due si scambiano: è in campo e fuoricampo, filma i loro incontri, poi ascolta, condivide, si fa desiderio. Ma di cosa?

Bernard dice che è un dominatore, esperto riconosciuto di BDSM ma forse anche Gianluca lo è almeno nel suo ruolo di regista che dispone nello spazio e nel tempo le emozioni, una volta colte, e le epifanie, e  della relazione «guida» l’andamento; parte, ritorna, filma, davanti all’obiettivo è più complicato mascherare la propria fragilità O invece è il bisogno di lasciarla trasparire, almeno una volta, nel rischio di un dolore  che è sempre presente?

Eppure Bernard sembrava sfuggire,  avrà avuto  almeno diecimila uomini dice di sé,  e ha passato indenne gli anni più bui dell’Aids che hanno lasciato ferite profonde: «In un atto sessuale hardcore traspare la psicologia del tuo partner più di quanto immagini». Ogni oggetto che mette nelle scatole ha un ricordo, lui lo cataloga con ossessiva precisione, porcellane e diapositive di lui ragazzo con un maglione che gli sembra avere indossato il giorno prima.

È questo movimento che è appunto quello della vita che il film restituisce nella dimensione semplice di una conoscenza  e di una condivisione di mondi tra due persone. Sul bordo che separa autodifesa e entusiasmo, laddove i «ruoli» cambiano continuamente, e senza a volte troppa possibilità di prevederlo Matarrese  costruisce narrazione che si apre, compie  detour e cerca  nuove piste, lasciando fluire i sentimenti e le reazioni più inaspettate. Ma non è  anche il senso del cinema nel suo corpo a corpo con la realtà del mondo?

Sorprendersi,  mettersi in gioco,  guardare l’altro  senza retorica nel suo stare al mondo. Non c’è bisogno di spiegazioni o di «confessioni»: l’esistenza è lì nei gesti di ogni giorno, nelle certezze e negli improvvisi spaesamenti.