La «debolezza» russa vista dalla Cina: sgomento e silenzio
Dietro fronte Domenica Pechino ha accolto il viceministro degli Esteri di Mosca, senza fare menzione dell’«impresa» tentata da Prigozhin
Dietro fronte Domenica Pechino ha accolto il viceministro degli Esteri di Mosca, senza fare menzione dell’«impresa» tentata da Prigozhin
Sgomento. Se c’è una parola per descrivere il sentimento con cui la Cina ha osservato la ribellione del Gruppo Wagner in Russia è questa. La dissoluzione dell’Unione sovietica è stato un trauma, utilizzato dal Partito comunista cinese come esempio da non seguire. Un memento mori ribaltato: ricordati che non devi morire.
TRE DECENNI DOPO, con rapporti di forza ribaltati e una Russia sempre più dipendente nei confronti della Cina, per qualche ora nello scorso fine settimana c’è chi ha rivisto i rischi dello sgretolamento di un sistema di potere basato su un singolo (Vladimir Putin) e non su un’enorme macchina come il Partito comunista. Lo spauracchio principale per Xi Jinping, sin da quando è iniziata la guerra in Ucraina, è proprio la caduta di Putin e la frammentazione della Russia. In sintesi, l’instabilità del suo più grande vicino. Scenario inquietante con risvolti esterni sull’unico confine “tranquillo” della Repubblica popolare e squarci nella postura internazionale di critica alla leadership con «mentalità da guerra fredda» degli Stati uniti.
E con risvolti interni, col probabile rafforzamento della pervasività del mantra della sicurezza nazionale.
La reazione ufficiale della Cina all’azzardo di Prigozhin è arrivata domenica, dopo una giornata e mezza di preoccupazione. Nessuna telefonata come quella di Erdogan a Putin, ma Pechino ha poi accolto Andrei Rudenko. Il viceministro degli Esteri di Mosca ha incontrato l’omologo Ma Zhaoxu e il ministro Qin Gang. Non è chiaro se il viaggio fosse già programmato o sia nato proprio dalla rivolta. Di certo, si sa che il governo cinese ha detto di sostenere «gli sforzi della Russia per proteggere la stabilità del paese».
NEL RESOCONTO degli incontri non compaiono riferimenti al Gruppo Wagner e si parla in modo generico di «scambio di opinioni sulle relazioni e questioni internazionali». Nella conferenza stampa di ieri, la portavoce Mao Ning ha sottolineato che l’ammutinamento «è un affare interno della Russia», limitandosi a ribadire che la Cina «sostiene e crede che Mosca possa mantenere la stabilità nazionale», evidenziando che i due paesi mantengono «una comunicazione stretta e solida a tutti i livelli».
SUI MEDIA CINESI è stato dato spazio soprattutto alle parole di Putin, ma la rivolta non ha conquistato prime pagine di giornali e aperture di siti. Come da prassi, quelle restano dedicate a questioni interne o alla diplomazia cinese. Molto più alta però l’attenzione in rete. Ancora ieri una buona parte dei trend su Weibo o dei contenuti più letti sugli aggregatori di notizie riguardava proprio la Russia. Sui social c’è anche chi ha avanzato l’ipotesi che dietro a Prigozhin ci fossero gli americani, teoria azzardata ma in linea con l’ossessione per le “rivoluzioni colorate”, sinora rimasta inutilizzata da fonti ufficiali.
LA VICENDA potrebbe comunque avere un impatto sulle dinamiche delle relazioni sinorusse. Durante la sua visita di marzo al Cremlino, Xi si è inusualmente sbilanciato sugli affari politici interni di un altro paese, augurandosi la conferma di Putin nel 2024. Un modo per segnalare all’esterno che se si vuole trattare non si può pensare a un cambio di regime. Xi proverà ad aiutare a puntellare la poltrona del «vecchio amico» con qualche limite, ma gli eventi del fine settimana sono un campanello d’allarme per Pechino, che potrebbe «vedere quando accaduto come un grave segno di incompetenza», sostiene Sari Ahro Havren sul Moscow Times. Prevedibile che la già grande dipendenza di Mosca dal sostegno cinese aumenti ulteriormente. Ma non è da escludere che possa esserci un rallentamento dei grandi progetti bilaterali. A partire dal Power of Siberia 2, il gasdotto che unirà Russia e Cina passando per la Mongolia.
Prevedibile che la Cina si proietti con ancora maggiore convinzione in Asia centrale e nelle repubbliche ex sovietiche, di recente ospitate a Xi’an nel primo summit bilaterale senza Mosca. Non dovrebbe sorprendere un rafforzamento della presenza anche sul fronte della sicurezza, nella preoccupazione che l’instabilità russa possa propagarsi in una regione strategica.
I PIÙ OTTIMISTI credono che il caos russo possa alimentare il pressing cinese per aprire un negoziato sull’Ucraina. I più pessimisti temono invece un’ulteriore radicalizzazione del nazionalismo sul fronte interno, con una postura muscolare in Asia-Pacifico. Obiettivo: non lasciare nemmeno immaginare che le debolezze di Mosca possano propagarsi in quello che è ormai sempre più il suo fratello maggiore.
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