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La Corte tedesca imbriglia la politica anti-crisi della Bce

La Corte tedesca imbriglia la politica anti-crisi della BceLagarde e Merkel – Ap

L'ideologia tedesca I giudici di Karlsruhe: chiarimenti entro 3 mesi sull’acquisto di titoli di Stato, altrimenti la Bundesbank uscirà dal programma

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 6 maggio 2020

Minacce sulla politica anti-crisi della Bce. L’attacco, partito dalla Germania, apre la battaglia su chi pagherà la crisi. Una sentenza della Corte di Karlsruhe, la giurisdizione di ultima istanza della Germania (l’equivalente della Corte costituzionale) ha dato tre mesi di tempo alla Bce per fornire «chiarimenti» sulla «proporzionalità» degli acquisiti di titoli di stato dei paesi europei da parte della Banca centrale europea con il programma di quantitative easing (Qe) iniziato nel marzo 2015 da Mario Draghi, durato fino al dicembre 2018 e poi riattivato nel novembre 2019. Il Public Sector Purchase Programme ha portato nelle casse della Bce un po’ più di 2mila miliardi di debito pubblico di vari paesi europei.

ALL’ORIGINE del coinvolgimento della Corte di Karlsruhe ci sono due politici anti-europeisti: Peter Gauweiler, ex Csu, e Bernd Lucke, tra i fondatori dell’Afd, il partito di estrema destra. La richiesta riguarda una decisione di Draghi, ma l’attacco è contro l’attuale presidente Christine Lagarde, che si appresta a fare un ulteriore passo nella stessa direzione, con il programma di acquisto di titoli per 750 miliardi.

Difatti, se la risposta della Bce non verrà considerata soddisfacente dalla Corte di Karlsruhe, la Bundesbank – primo azionista della Bce – potrebbe non partecipare più ai programmi anti-crisi.

Ma siamo ancora lontani da questo scenario catastrofico, che riaprirebbe una crisi dei debiti e potrebbe persino dare un colpo fatale all’euro. C’è però in filigrana una forte ipotesi preventiva su eventuali Coronabond, perché qui ci sarebbe la «condivisione dei rischi» tra stati, esclusa esplicitamente da Karlsruhe per il Qe.

Clemens Fuest, presidente di Ifo, istituto di ricerca economica basato a Monaco di Baviera, parla chiaro: la sentenza di Karlsruhe fa pressione sugli stati per misure di sostegno basate sulla propria politica fiscale. Anche se formalmente solo la Bundesbank deve rispettarla, per l’Ifo è «inimmaginabile» che la Bce continui a comprare obbligazioni senza la partecipazione della Bundesbank».

E precisa: la sentenza invita ad «astenersi da acquisti di obbligazioni di paesi con notazione insufficiente» (Fitch ha declassato il debito italiano), «queste condizioni limitano in particolare il margine di manovra per comprare obbligazioni dello stato italiano».

KARLSRUHE HA CHIESTO alla cancelliera Angela Merkel e al Budestag di «adottare misure attive contro il Pspp nella sua forma attuale», ma non ha potuto stabilire la violazione da parte della Bce del divieto di finanziare direttamente gli stati: la battaglia è giuridica, Karlsruhe dice «i trattati nient’altro che i trattati» e il ruolo della Bce è garantire la stabilità dei prezzi.

Dopo la sentenza e il «no comment» di Francoforte, ieri la Commissione si è limitata a ricordare che il diritto europeo ha prevalenza sul diritto nazionale: nel 2018 la Corte di giustizia europea ha riconosciuto la «proporzionalità» dell’intervento della Bce e quindi la sua legalità (il rispetto dei Trattati, anche se per Karlsruhe la Corte europea ha «evitato di valutare l’importanza della proporzionalità»). La questione della «proporzionalità» riguarda direttamente l’Italia (non a caso lo spread è subito aumentato), l’Italia “pesa” per il 15,6% nel capitale della Bce mentre la Banca centrale ha acquisito il 30% del debito (cifra che resta però nella legalità: la Bce non può detenere più del 33% del debito di uno stato messo sul mercato).

Il ruolo centrale della Corte di Karlsruhe deriva dalla storia tedesca, degli anni ’30 e del ’45, che hanno portato alla separazione della politica dall’economia. C’è l’ossessione della monetizzazione, che può portare all’iperinflazione (ma oggi il rischio è inverso: ieri l’Ocse ha rivelato che a marzo c’è stato il più forte calo dell’inflazione nei paesi più industrializzati – a causa del crollo del prezzo del petrolio – portando la media annuale a 1,7%).

Dietro il ricorso alla Corte di Karlsruhe e alla risposta dell’alta giurisdizione c’è la battaglia su chi pagherà la crisi. La Corte tedesca sostiene che, con il vecchio Qe, la Bce ha monetizzato parte del debito in modo eccessivo e di conseguenza ha messo a rischio il risparmio dei cittadini (tedeschi in questo caso). La Bce ha «ignorato le conseguenze economiche» del Qe.

La Germania, in altri termini, ha paura di dover pagare per gli altri. Karlsruhe aveva già espresso forti dubbi sull’Omt, il programma di acquisiti illimitati di obbligazioni di stato da parte della Bce. Ma la Corte non si interroga sulle conseguenze che avrebbe un crollo del sud dell’Europa (Italia, Spagna, ora anche Francia) sui risparmiatori tedeschi.

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