Ventiquattro ore dopo avere cancellato l’affirmative action, la cosiddetta discriminazione positiva finalizzata a una maggiore inclusione delle minoranze nei college, la Corte Suprema ha deliberato facendo fare agli Usa un ulteriore balzo indietro, e con un altro voto 6-3 si è schierata con la web designer cristiana evangelica del Colorado che si era rifiuta di creare siti per le nozze di coppie gay, nonostante le leggi dello stato vietino le discriminazioni per la comunità Lgbtq+.

Il caso su cui l’Alta Corte si è espressa è quello di Lorie Smith, titolare di un’agenzia di comunicazione online che crea siti web. Smith sosteneva di avere il diritto, in base al Primo emendamento, di rifiutarsi di fare siti web per delle nozze gay, e che lo stato del Colorado, invece, voleva forzarla «a spendere la mia creatività per messaggi contrari alle mie convinzioni religiose».
«Le persone sono libere di pensare e parlare come desiderano, non come chiede loro il governo», ha scritto il giudice Neil Gorsuch nell’opinione di maggioranza dei sei conservatori, mettendo nero su bianco che il Primo emendamento protegge l’avversione di Smith alla comunità Lgbtq+
La giudice liberal Sonia Sotomayor, nel suo dissenso, ha affermato che «oggi la Corte, per la prima volta nella sua storia, concede a un’azienda aperta al pubblico il diritto costituzionale di rifiutarsi di servire membri di una categoria protetta». «Il fatto è che qua non si tratta dei principi di qualcuno, dovrebbe trattarsi dei diritti di una comunità – dice Yetta Goldberg, newyorchese, avvocata e attivista per i diritti Lgbtq+ – La Corte Suprema ha appena dichiarato che la religione è più “legiferante” della legge. In cosa saremmo diversi dal regime talebano allora?».
Cinque anni fa, la Corte si era espressa sul caso di un pasticcere, sempre del Colorado, che si era rifiutato di preparare la torta per il matrimonio di una coppia omosessuale. In quel caso i giudici avevano dato ragione al pasticciere, ma non si erano spinti  fino ad allargare la sentenza al diritto dei proprietari di attività commerciali di negare i propri servizi sulla base delle preferenze sessuali dei clienti, appellandosi alla libertà di espressione, o per via delle proprie convinzioni religiose.
«Penso che questa Corte sia fuori fase con il sistema di valori fondamentali del popolo americano – aveva detto la sera prima il presidente Biden durante un’intervista a Msnbc – Credo che la grande maggioranza degli americani non sia d’accordo con le sue recenti decisioni. La Corte Suprema può fare molti danni».
Dopo questa nuova sentenza il presidente ha parlato di una «decisione che indebolisce le leggi che proteggono tutti gli americani contro la discriminazione. In America nessuno dovrebbe essere discriminato semplicemente per chi è o per chi ama. Sono molto preoccupato dalla possibilità che lasentenza possa spingere a una maggiore discriminazione degli americani Lgbtq+».
Nonostante tutte queste preoccupazioni Biden si è comunque detto contrario ad aumentare il numero dei giudici della Corte suprema per riequilibrarla: con questa mossa «la politicizzeremmo forse per sempre. Sarebbe una cosa da cui non si torna indietro».
Biden ha sottolineato che «alcuni membri della Corte stanno iniziando a rendersi conto che la loro legittimità è stata messa in discussione in un modo che non ha precedenti». I giudici stanno anche compromettendo anche l’agenda del presidente: un’altra sentenza molto attesa arrivata ieri è stata proprio quella sulla cancellazione parziale del debito studentesco promossa da Biden.
La Corte ha  stabilito che il presidente non ha il potere di farlo, e  quindi che Biden non ha l’autorità necessaria per attuare il piano da 500 miliardi di dollari che avrebbe permesso a migliaia di studenti di riscattare una parte dei debiti contratti per frequentare il college. Il piano messo a punto da Biden insieme al Segretario per l’istruzione Miguel Cardona,  giudicato anche troppo blando dall’ala più a sinistra del partito democratico, prevedeva la cancellazione fino a 20mila dollari  dal debito contratto da ogni studente con un introito non superiore ai 125mila dollari all’anno.
Una promessa elettorale, ridimensionata rispetto al progetto iniziale che arrivava fino 1.600 miliardi,  che Biden avrebbe voluto mantenere e che il Gop vedeva  come fumo negli occhi.
Ora la Corte, dopo aver valutato 2 ricorsi, uno presentato da una cordata di stati a maggioranza repubblicana, l’altro portato avanti da due cittadini del Texas, ha espresso parere contrario.
Anche questa sentenza non è arrivata inaspettata, e secondo la Cnn Biden sarebbe pronto ad annunciare delle nuove misure per salvare almeno una parte del suo piano di tutela per chi ha un debito studentesco, e che l’amministrazione intende «chiarire ai titolari di debito e alle loro famiglie che i repubblicani sono responsabili del fatto che venga negato loro un aiuto per il quale il presidente si sta battendo».