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La corrente riformista scivola sul pluralismo

La corrente riformista scivola  sul pluralismo

Caso Ciani Ha ragioni da vendere Rosy Bindi a osservare come il caso della nomina di Paolo Ciani a vicecapogruppo Pd alla Camera sia stato montato ad arte dagli oppositori interni a […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

Ha ragioni da vendere Rosy Bindi a osservare come il caso della nomina di Paolo Ciani a vicecapogruppo Pd alla Camera sia stato montato ad arte dagli oppositori interni a Schlein e dalla stampa ostile. Quasi tutta. Sino a ieri l’accusa alla neosegretaria era quella di mortificare il pluralismo politico-culturale interno al partito e segnatamente la componente cattolica e ora, d’improvviso, alla rovescia, si censura la nomina di un cattolico stimato espressione di Sant’Egidio. Si disvela così un vecchio equivoco ahimè invalso un po’ in tutta la pubblicistica: la confusione tra clerico-moderatismo erede della destra Dc (per intenderci di Andreotti e Forlani) e il genuino cattolicesimo democratico e sociale. Ma il carattere strumentale della polemica lo si evince da altri tre elementi.

Il primo: la elementare distinzione tra partito e gruppo parlamentare. Da sempre i gruppi riflettono una più ricca
articolazione interna rispetto a quella dei partiti. Si possono fare infiniti esempi di personalità indipendenti iscritte ai gruppi ma non al partito che in via maggioritaria li esprime. Alcune di esse hanno avuto rilievo nella nostra storia politico-parlamentare. Ma, di più, in questo caso, era dichiarato, programmatico e ricercato, da parte del Pd lettiano, il confezionamento di una lista plurale comprensiva di sigle altre, tra le quali appunto Demos, la formazione politica di cui Ciani è il segretario.

E’ singolare che mostrino di ignorarlo i sedicenti riformisti Pd, tanto affezionati al modello originario (veltroniano) del partito coalizionale. Quelli che paventano un allontanamento dal partito aperto e inclusivo a vocazione maggioritaria. Secondo
profilo: la colpa di Ciani starebbe nella sua sensibilità pacifista. A questo siamo? Alla tesi secondo la quale nel Pd non vi sarebbe posto per essa? Come ciò si concilia con l’enfasi sullo spazio da riservare a un contributo cattolico? Il dogma di un atlantismo
oltranzista si è spinto a questo limite? La questione della pace e della guerra tutta si risolve nel sì o no all’invio di ulteriori armi all’Ucraina?

Esemplifico in due direzioni: è in assoluto inibita una discussione più pragmatica e meno ideologica (come
suggerito da Lucio Caracciolo) su quali armi o una discussione “alta” su un’auspicabile autonomia strategica dell’Europa nel quadro di un nuovo ordine mondiale? Tutto si riduce a un sì o un no alla ennesima fornitura di armi non sappiamo quali, essendo segretate? Terzo, infine: la sostituzione di De Luca jr.

D’accordo: non si devono imputare ai figli le colpe dei padri, ma neppure è commendevole che i figli siano nominati parlamentari in quanto figli. Va semmai apprezzato che si provi a porre uno stop a quella concezione personalistica e familista del potere che, secondo tutti i meridionalisti, è all’origine dei mali e dell’arretratezza del sud d’Italia. Una questione di dignità e di eticità della politica che va affrontata a viso aperto e che, come è evidente, riguarda il De Luca senior.

Comunque una questione che non dovrebbe avere nulla a che vedere con le posizioni politiche interne al Pd. I cosiddetti riformisti Pd si riconoscono nel modello incarnato da quel sistema di potere? Anche da qui si ricava doppia conferma: della confusione e degli equivoci che allignano intorno all’abusata parola “riformismo” e della strumentalità della polemica su Ciani.

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