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La controffensiva langue: i droni su Mosca sono fumo negli occhi

La controffensiva langue: i droni su Mosca sono fumo negli occhiI detriti di una casa danneggiata da un razzo a Kiev – Ap/Efrem Lukatsky

Il limite ignoto La risposta ucraina all’inquietudine degli alleati americani per lo stallo della guerra. La riconquista di Melitopol è un miraggio

Pubblicato circa un anno faEdizione del 31 agosto 2023

«La guerra si sta spostando nel territorio della Russia e non può essere fermata». Lo ha scritto sul suo profilo Twitter il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak riferendosi agli stormi di droni (presumibilmente ucraini) che nella notte hanno colpito l’aeroporto russo di Pskov, una fabbrica di componenti microelettroniche a Bryansk e sono stati intercettati prima di arrivare a Mosca.

ALCUNI PARLANO di «cambio di strategia» ucraina dato che questo tipo di attacchi, che pure si verificano da mesi, si stanno inoltrando sempre più all’interno dello sterminato territorio russo e si fanno sempre più intensi. Ma, a meno che Kiev non stia per collaudare un missile segreto che gli permetterà di colpire a centinaia di chilometri di distanza in modo distruttivo, i droni non riusciranno a sopperire allo stallo della controffensiva. Il governo di Zelensky lo sa, così come lo sanno gli alleati della Nato, Usa in testa. I quali sono preoccupati più che dalle sorti del Paese invaso dai malumori della propria opinione pubblica in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Come giustificare i miliardi di dollari spesi per rifornire Kiev di armi, mezzi e munizioni in vista della manovra che avrebbe dovuto portare al «cambiamento degli equilibri» sul campo?

«La guerra non è un film» aveva dichiarato il presidente Zelensky a metà luglio in risposta alle domande dei giornalisti. E ha ragione. Non solo perché i tempi di un conflitto non sono i tempi della pace, ma perché i protagonisti non sono attori ma uomini e donne che muoiono per davvero ogni giorno. Allo stesso tempo non possiamo negare che finora la narrazione del conflitto come un film epico in cui il bene deve trionfare sul male ha aiutato l’Ucraina a ottenere ciò di cui aveva bisogno per resistere alla soverchiante forza militare russa. Solo che fino allo scorso autunno le forze armate ucraine erano in difesa, e come ci insegnano gli studiosi militari, le forze attaccanti hanno bisogno di un numero di soldati tre volte superiore rispetto a chi difende. Fino alla prima controffensiva ucraina si ipotizzava un rapporto di 1 morto o ferito grave ucraino a fronte di 7 russi. Ora questo rapporto si sarebbe ridotto a 1 a 3. Il New York Times a metà agosto ha pubblicato delle cifre impressionanti: le perdite militari della Russia si avvicinano a 300.000 unità di cui 120.000 morti e 170-180.000 feriti, i morti ucraini invece sfiorano i 70.000 e sarebbero 100-120.000 i feriti. Dunque, considerando la sproporzione tra i due eserciti prima dell’invasione e il ritorno a una guerra d’attrito nei mesi freddi, possiamo senz’altro concludere che Kiev avrà bisogno di tutti i suoi fanti e non potrà permettersi perdite considerevoli a lungo.

Sempre il Nyt, insieme al Washington Post, per circa due settimane ha insistito sul fatto che la riconquista dei territori occupati sta fallendo e che «gli ambienti dei servizi segreti statunitensi ritengono che la controffensiva ucraina non riuscirà a raggiungere la città chiave di Melitopol». La quale, secondo le ammissioni stesse dei vertici ucraini, è l’obiettivo principale di quest’attacco.

PRENDERE MELITOPOL vorrebbe dire tagliare la catena di approvvigionamento dalle regioni russe alla Crimea e spezzerebbe il fronte sud in due, impedendo alle truppe di occupazione di ricevere aiuti dalle retrovie e permettendo eventualmente agli ucraini la riconquista di Kherson est, oltre ad aprire una direttrice verso Sebastopoli. Domenica gli ucraini hanno annunciato la riconquista di Robotyne, un piccolo villaggio a sud di Zaporizhzhia, che ieri è stato indicato come «la porta per la Crimea». Secondo il Comando sud ucraino, inoltre, questo piccolo villaggio costituirebbe la prova dello sfondamento della prima linea di difesa russa. Se così fosse resterebbe la seconda, forse altrettanto fortificata della prima. L’ex-comandante delle forze d’occupazione russe Surovikin (ora caduto in disgrazia per i presunti legami con la Wagner) aveva pensato bene di raddoppiare le trincee nella prima parte del fronte.

MA GLI ALLEATI vogliono risultati, vogliono poter rilasciare dichiarazioni incoraggianti sulle conquiste russe come gli spettatori soddisfatti di un film dal lieto fine. Da qui nascono i colloqui segreti delle ultime settimane tra i vertici Nato e il comando delle forze armate ucraine, le dichiarazioni a mezza bocca dei funzionari atlantici sulla possibilità di «discutere dello status della Crimea» e magari utilizzarla come moneta di scambio; eventualità sulla quale a inizio settimana Zelensky sembrava aver aperto (salvo ritrattare in parte ieri).

DA QUI anche la fretta ucraina di creare più scalpore possibile con gli attacchi dalla distanza. Ma con le armi occidentali non si può, non apertamente almeno dato che gli alleati non vogliono. Inoltre, come abbiamo più volte sentito in questi mesi, Washington non è a favore di un inasprimento del conflitto. Il rischio, in questo frangente, è che per la necessità di dimostrare qualcosa agli alleati, l’Ucraina paghi un prezzo altissimo e non saranno i pochi obiettivi colpiti nelle retrovie russe a interrompere questa mattanza.

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