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La conferma di Visco a Bankitalia e la partita con l’Europa

La conferma di Visco a Bankitalia e la partita con l’EuropaLa sede della Banca d'Italia

Economia L’ombrello offerto dal Quantitative esasing non si è tradotto in una buona crescita e per l’Italia sarà un problema farne a meno quando, nel 2019, Draghi lascerà la Bce

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 27 ottobre 2017

Il grande storico Fernand Braudel, ripercorrendo nei suoi scritti le vicende che vanno dal Medioevo in poi, ricordava come alla fine la finanza e la politica siano fatti necessariamente per intendersi.

E questo assunto alla fine appare anche a noi sostanzialmente corretto, anche se il tema meriterebbe ovviamente un lungo discorso.

Peraltro, le vicende contingenti possono, come nei nostri casi di oggi, quello del rinnovo nella carica di Governatore di Ignazio Visco e quello del parallelo annuncio da parte della Bce di un allentamento della politica di quantitative easing, mostrare come tali rapporti possono essere comunque complicati, anche se poi alla fine (magari in questo caso dopo le elezioni) può arrivare il lieto fine.

Le due vicende hanno appunto in comune da una parte proprio il problema dei rapporti tra finanza e politica, mentre, dall’altra, il fatto che ambedue vedono tra i protagonisti Mario Draghi.

E così il nostro Gentiloni, nonostante la sua mitezza, questa volta, dopo peraltro vari tentennamenti e nonostante i rinnovati attacchi di Renzi, ha trovato il coraggio per confermare Ignazio Visco nella carica di Governatore della Banca d’Italia.

Ma tale coraggio gli è stato almeno in parte infuso da una parte dalla durezza sul tema del Presidente della Repubblica, dall’altra anche dalle probabili pressioni di Draghi sull’argomento; non bisogna poi sottovalutare il coro quasi unanime che molte persone autorevoli hanno sollevato sulla vicenda.

Si tratta, per altro verso, di uno dei casi che mostrano incredibilmente come il Pd si sia messo di recente a combattere contro il suo proprio governo, mentre sono da attendersi ora le vendette del Capo, a partire dalla ghiotta occasione della Commissione d’inchiesta sulle banche.

Vedremo ahimè delle scene grottesche.

L’altra vicenda appare comunque più importante e destinata ad incidere più fortemente della prima sui nostri destini. Dunque la Bce ha deciso di abbassare la spesa mensile per l’acquisto di titoli da 60 a 30 miliardi di euro e questo a partire dal gennaio 2018.

Il programma continuerà peraltro su scala ridotta sino al settembre 2018, ma, per fortuna per noi, è stato previsto che, in caso di sviluppi negativi in particolare nei paesi del Sud, la Banca possa di nuovo riaprire le macchine da stampa. I tassi di interesse sono invece rimasti invariati e dovrebbero rimanerlo sempre sino a settembre.

L’annuncio è stato tanto in linea con le attese che, come sottolineava il Financial Times di ieri, esso è stato quasi deludente. Ne è seguita sui mercati una caduta del valore dell’euro, effetto anche questo del resto scontato.

Bisogna sottolineare a questo proposito come, mentre il nostro governo celebra i sia pur modesti miglioramenti in atto dell’economia italiana come un risultato derivante dalle proprie illuminate politiche, molti economisti e non solo loro, sono invece consapevoli che gran parte della crescita attuale dell’economia dell’Unione europea, oltre che di quella nazionale, è dovuta all’azione svolta in questo ultimo periodo dalla Bce. E questo proprio con la politica del quantitative easing e dei tassi di interesse molto bassi.

Il problema semmai è costituito dal fatto che quello monetario è da tempo the only game in town, il solo gioco disponibile in città, come affermava, qualche tempo fa, un noto specialista internazionale della materia, Mohamed A. El-Erian.

In effetti, sembrava chiaro, a Draghi come ad altri, quando fu avviata l’accomodante politica monetaria attuale, che essa avrebbe dovuto servire per dare tempo alla politica di mettere in campo le mosse necessarie per innescare un percorso virtuoso di sviluppo.

Ma il problema è che tali politiche non sono mai arrivate sulla scena, le banche centrali si sono caricate di troppe responsabilità, anche politiche e ci ritroviamo ancora oggi al punto di prima, senza alcuna reale strategia di crescita economica.

Certo, appare vero che il livello della crescita economica sta un poco aumentando e che quello della disoccupazione si è ridotto, ma la situazione del precariato si è appesantita e il livello dei salari è al palo, mentre l’inflazione si ostina a non crescere come Draghi sperava.

In ogni caso, ora, specialmente nel nostro paese, non si può che guardare con ansia al momento in cui Draghi staccherà del tutto la spina del Qe e poi a quello in cui, nel 2019, mutamento per noi ancora più grave, egli lascerà l’incarico per scadenza dei termini e ci ritroveremo con un nuovo governatore magari tedesco; allora, forse, cercheremo di richiamare in patria il nostro amico per tentare di salvare il salvabile.

Si tratterà presumibilmente, in ogni caso, per quanto riguarda le due scadenze annunciate, di due colpi pesanti per un paese come il nostro, da tempo irresponsabile.

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