Preoccupazione e anche difficoltà in una delle più autorevoli comunità del grande impero multi-etnico russo: il rabbino capo di Mosca, Pinchas Goldshmidt, sarebbe stato costretto a lasciare il Paese per essersi rifiutato di sostenere la guerra contro l’Ucraina. La notizia è venuta dalla nuora del rabbino, la giornalista Avital Chizhik-Goldshmidt, la quale ha sottolineato che la partenza di Goldshmidt era avvenuta due settimane dopo l’inizio dell’invasione russa. Il rabbino ha poi rilasciato un’intervista al britannico “The Times” precisando di aver dovuto finora tacere ed evitare di condannare pubblicamente l’invasione poiché responsabile della «sopravvivenza» della comunità ebraica di Russia – ufficialmente pari a 232.267 persone, circa lo 0,16% della popolazione totale secondo il censimento del 2002, ma almeno il doppio, tenuto conto del milione e mezzo di ex-sovietici oggi cittadini d’Israele, frequenti ospiti delle terre natie.

Secondo il Jerusalem Post, il Cremlino avrebbe tentato di approfittare della forzata assenza di Goldschmidt per cercare, attraverso i molti influenti funzionari ed oligarchi di origine ebraica prossimi al regime di Putin, di far eleggere dalla comunità una guida alternativa. Tuttavia, «il tentativo di colpo di stato è fallito», scrive il quotidiano israeliano, ed il 7 giugno Goldschmidt è stato lo stesso riconfermato per altri sette anni alla prima carica dell’ebraismo russo, posizione che ha occupato negli ultimi 30 anni.

Nato nel 1963, Goldschmidt è un personaggio di rilievo dell’ebraismo europeo. Originario della Svizzera e formatosi negli Stati uniti si è poi affermato in Russia ed è anche Presidente della «Conferenza dei Rabbini d’Europa» dal 2011, nonché a capo del tribunale rabbinico della Confederazione degli Stati indipendenti (Csi). Già nel 2005 aveva avuto screzi con il Cremlino che gli aveva negato l’ingresso in Russia, ricomposti grazie ad una campagna internazionale chiusasi con il conferimento a lui della cittadinanza russa da parte di Dmitry Medvedev.

All’inizio di maggio, il rabbino capo di tutta la Russia, Berl Lazar, aveva commentato la dipartita di Goldshtein adducendo motivi di salute. La notizia di una sua fuga è un duro colpo per la narrativa «anti-nazista» di Mosca. Le dichiarazioni di questi giorni avvengono sempre sull’onda lunga delle affermazioni provocatorie a Rete 4 del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov sul presunto «sangue ebreo» di Hitler, che hanno messo in imbarazzo Lazar, considerato fedele al Cremlino e persino chiamato «il rabbino di Putin», così come il resto della comunità.

Spia di una profonda irritazione nei confronti della posizione indecisa di Israele nel conflitto ucraino, tali parole hanno aperto la descritta frattura anche all’interno dell’ebraismo di Russia che aveva finora prosperato all’interno del regime di Putin. Tale fatto è confermato dalla dinamica delle relazioni russo-israeliane sempre improntate alla massima reciproca comprensione. L’intervento russo in Siria ha modificato l’equazione su cui si reggeva tale intesa. Putin ha comunque continuato a sacrificare l’asse con l’Iran (le cui posizioni gli israeliani hanno colpito in numerose occasioni senza provocare reazioni russe).

La guerra in Ucraina, che secondo Goldshmidt avrebbe costretto molti esponenti della comunità a lasciare il paese (soprattutto per non incappare nell’impianto sanzionatorio Usa-Ue) va a sconvolgere anche questo partenariato con i suoi molteplici assetti consolidati attraverso Europa e Medio Oriente .