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La Collina e il baratro di Quartucciu due mondi per detenuti minorenni

La Collina e il baratro di Quartucciu due mondi per detenuti minorenni

Cagliari Nel triste carcere minorile, ragazzini che non capiscono neppure l’accusa di traffico umano

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 18 maggio 2017

Serdiana da una parte. Quartucciu dall’altra. Serdiana è un piccolo comune vicino Cagliari. Lasciando alle spalle il mare e la città, tra filari di ulivi e vitigni, c’è un cancello con sopra una scritta. Si legge, alzando lo sguardo, «La Collina».

Una volta entrati è difficile uscirne senza provare gratitudine per don Ettore Cannavera. «La Collina» è un progetto che lui ha messo in piedi qualche decennio fa. È un progetto educativo che ha resistito nel tempo e che si muove nel solco degli insegnamenti di don Lorenzo Milani. Don Ettore ha conosciuto generazioni di ragazzi che hanno avuto problemi con la giustizia. Accoglie tutti: innocenti o colpevoli, italiani o stranieri, quasi bambini e quasi adulti. Se c’è bisogno accoglie anche i criminali non più adolescenti.

DA DON ETTORE I RAGAZZI, anche quelli che hanno commesso reati gravi, hanno una chance. Sono educati alla responsabilità. Sono pagati per il loro lavoro nei campi e nella comunità. Hanno uno stipendio con cui contribuiscono alla permanenza alla Collina. Vivono insieme nel rispetto reciproco. Hanno una vita vera. Si fidanzano. L’ho visto con i miei occhi. Crescono, insieme. Pregano, se vogliono. Meditano in silenzio in una cappella dove ci sono le foto, tra gli altri, del vescovo salvadoregno Oscar Romero, ucciso dagli squadroni della morte nel 1980, e di don Tonino Bello, fondatore di Pax Christi. In quella cappella non si celebra messa. In quella cappella si sta in silenzio. Il posto è bellissimo. Lo sguardo dalla «Collina» arriva sino al mare. Nulla nella comunità assomiglia a un carcere, né iconograficamente né nelle pratiche di vita.

Tutti i giovedì i ragazzi mangiano insieme ad amici e parenti. Il vino e l’olio che producono sono commercializzati e gli introiti servono a «fare reddito per tutti». Nessuno deve sentirsi «assistito». La comunità non vive di rette ministeriali. Gli ospiti arrivano da esperienze di vita dure. Molti di loro giungono direttamente dal carcere. Nella comunità scontano una misura alternativa oppure sono alla messa alla prova. Il tasso di recidiva è molto basso, quasi vicino a zero.

DA QUALCHE MESE LA REGIONE Sardegna non onora gli impegni presi. Nonostante vi sia uno stanziamento normativamente previsto, tutto è bloccato in sede amministrativa. Così gli operatori sono finiti in cassa integrazione e il numero di ragazzi ospitati si è pericolosamente ridotto.

A Quartucciu, a pochi minuti da Cagliari, vi è un istituto penale per minorenni, ossia un carcere. E di carcere vero e proprio si tratta. Basta guardarlo da fuori per rendersene conto. Una struttura che per collocazione (estrema periferia urbana non servita da mezzi pubblici con danni enormi ai familiari dei detenuti e al personale), sbarre e cancelli, ricorda proprio un carcere per adulti. Tale era nelle intenzioni di chi lo ha costruito qualche tempo addietro, visto che avrebbe dovuto custodire addirittura i terroristi. In mancanza di questi ultimi, piuttosto che farlo andare in rovina è stato riciclato come carcere per ragazzi.

A Quartucciu sono più o meno in dieci, con età che vanno dai quattordici ai venticinque anni. Vivono con le regole tipiche del carcere. Tra loro c’era chi si trovava in punizione in stato di isolamento (anche se la legge eufemisticamente lo definisce «esclusione delle attività in comune»), chi camminava triste e solitario, chi vagava senza sapere perché era finito in galera.

È indimenticabile quel volto sperduto di ragazzino senegalese accusato di essere trafficante di uomini. Non conosceva una parola di italiano, né di inglese o di francese. È difficile, se non impossibile, trovare a Quartucciu un interprete o mediatore culturale che conosca una lingua di origine africana.

Quel ragazzino, al pari di altri reclusi negli istituti penali minorili siciliani e sardi, è accusato di essere trafficante di uomini. La sua età giovane, i suoi occhi sperduti, trasmettevano tenerezza. Non aveva un avvocato di fiducia. Possiamo immaginare che qualcuno gli debba avere passato, in prossimità delle acque italiane, il timone e insieme ad esso tutte le colpe del viaggio della speranza e della vita. È scappato dalla sua terra. I genitori lo avranno messo su un barcone. Ora lui sta in galera accusato di essere uno scafista.

A QUARTUCCIU I RAGAZZI sono trattati, sanzionati, intrattenuti, disciplinati dietro mura alte in un luogo che per sua natura è anti-pedagogico. C’è inoltre la cattiva abitudine a usare le carceri sarde come luogo dove mandare gli indesiderabili, quelli che fanno casino, i detenuti difficili e i ragazzi difficili. Questi ultimi diventano pacchi trasferiti da galera a galera.

Don Ettore Cannavera, più o meno due anni fa, si è dimesso da cappellano del carcere di Quartucciu. Un incarico da cui non prendeva soldi visto che ha sempre sostenuto che non fosse giusto che un cappellano fosse pagato dallo Stato. La religione attiene alla coscienza individuale in uno Stato laico. Nella sua lettera di dimissioni scriveva: «Dopo ventitré anni di servizio volontario e di presenza assidua nel carcere di Quartucciu, negli ultimi due ho deciso di diradare gradualmente la mia presenza per l’incapacità di riconoscervi ancora un luogo ove si svolga quell’opera di recupero educativo e di reinserimento sociale che la nostra Costituzione attribuisce alla pena… Nel nostro carcere minorile si pratica una pedagogia penitenziaria che non riesco più a condividere… I ragazzi sono spesso trattati come “pacchi” da destinare a una collocazione più contenitiva, e si trascura di instaurare con loro una relazione educativa che sia “di cura”. La struttura sempre più fatiscente rende il carcere di Quartucciu ancora più estraneo all’obiettivo pedagogico che si prefigge».

Da Don Ettore – a cui la Coalizione italiana per le libertà civili ha conferito un premio alla carriera nel 2016 – i ragazzi sono invece educati alla vita. Speriamo che la regione Sardegna torni ad aiutare economicamente la Comunità, fiore all’occhiello dell’isola. Speriamo che il sindaco di Cagliari Massimo Zedda metta una fermata di bus vicino al carcere di Quartucciu per romperne l’isolamento. Speriamo che l’istituto di Quartucciu assomigli sempre meno a una galera per adulti.

(Inchiesta sulle carceri italiane 1/P. continua)

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