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La Cisgiordania pianta alberi di ulivo per Vittorio

La Cisgiordania pianta alberi di ulivo per VittorioUn poster per ricordare Vittorio Arrigoni – Reuters

Palestina A 4 anni dalla morte, i palestinesi ricordano ancora l'attivista italiano, simbolo di passione e resistenza: «Vittorio è un simbolo della lotta comune, oltre i confini palestinesi, della lotta internazionalista»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 15 aprile 2015

«Vittorio è un simbolo della lotta comune, oltre i confini palestinesi, della lotta internazionalista. Per questo noi palestinesi lo consideriamo un martire della causa: chiunque cada per il suo impegno contro l’occupazione è commemorato come tale». Ghassan era presente, il 15 aprile 2011, in Piazza della Natività a Betlemme: spontaneamente i palestinesi della città si ritrovarono quella sera per una silenziosa commemorazione, candele accese e qualche lettura.

«Lo hanno ucciso per indebolire l’immagine del popolo palestinese all’esterno – continua Ghassan – Tutti i partiti politici all’epoca condannarono l’atto e tantissimi palestinesi ne furono scossi: era chiaro il tentativo dietro quell’uccisione, colpire chi ci sostiene, chi lotta al nostro fianco. In nome di cosa? Ufficialmente per motivi religiosi. Penso che quel gruppo di salafiti non era mosso dalla volontà di indebolire Hamas, ma di screditare la lotta contro l’occupazione».

Vittorio non è mai stato dimenticato dai palestinesi della Cisgiordania. Viene ricordato nei murales: nel campo di Aida, a Betlemme, è ritratto mentre cammina di spalle mano nella mano con Handala, il bambino profugo simbolo della narrativa del cartoonist Naji Al-Ali; a Ramallah a pochi metri dalla centralissima Manara Square il suo volto è accompagnato al “Restiamo Umani” che lo contraddistingueva.

E oggi, a 4 anni di distanza, non mancano attività a suo nome: oggi a Betlemme proietteranno il documentario di Al Jazeera “Staying Human” e il 18 aprile il Solidarity Movement for a Free Palestine (Sfp) pianterà alberi di ulivo nel nome di Vittorio nel villaggio di Burin, vicino Nablus. L’organizzazione, movimento popolare di resistenza, è nata due anni fa e mette insieme attivisti da tutta la Cisgiordania, da Nablus a Hebron, da Ramallah alla Valle del Giordano.

«Il 18 aprile ricorderemo Vittorio con gli ulivi– spiega al manifesto Wael Faqeeh, membro del Sfp – Pianteremo ulivi anche per i prigionieri palestinesi, la cui giornata si celebra il 17 aprile. Perché per noi non c’è differenza tra i detenuti politici e Vittorio: tutti lottano per la stessa causa, la libertà della Palestina. Per questo è parte del movimento di resistenza».

Perché Vittorio è stato un simbolo di resistenza per tanti. Nel 2011, subito dopo la sua brutale uccisione, si sono moltiplicate le attività per ricordarlo. Alle dichiarazioni ufficiali e le fiaccolate, seguirono azioni concrete: nella Valle del Giordano, il Jordan Valley Solidarity diede il suo nome alla scuola costruita a Ras al-Auja, piccolo villaggio target delle politiche di trasferimento forzato di Israele. Una scuola che avrebbe dovuto garantire il diritto all’educazione a 130 bambini del villaggio, costretti altrimenti a camminare per 7 km prima di raggiungere l’istituto del vicino villaggio di al-Auja.

Prima fatta di tende, poi di strutture in mattoni di fango, la scuola “Vittorio Arrigoni” fu subito demolita dai bulldozer israeliani poco dopo la sua costruzione: «Mentre completavamo la scuola venimmo a sapere della morte di Vittorio – ricorda Rashed Khudiri, leader del Jvs – Dopo aver parlato con la sua famiglia e aver ottenuto il loro via libera, la dedicammo al suo nome. Vittorio era e resterà un grande simbolo di resistenza. Per noi dare il suo nome alla suola è stato un onore perché rappresentava un altro esempio di resistenza, quella dell’educazione, contro l’occupazione».

Anche al di fuori di Gaza. Vittorio, prima di entrare nella Striscia con la Flotilla, passò per il campo di Dheisheh a Betlemme: «Quando venimmo a sapere della sua morte, noi amici qui nel campo ne restammo sconvolti. Sembravamo fantasmi, eravamo morti con lui». Hamze è un giovane volontario del centro culturale Ibdaa, il più grande del campo profughi di Dheisheh: «Lo abbiamo sempre sentito vicino perché conosceva la nostra sofferenza, conosceva la mia sofferenza di rifugiato nato in un campo. Ho ancora un suo poster in camera perché è simbolo di passione e resistenza. Con la Flotilla ha rotto l’assedio di Gaza e ci ha portato nuovo entusiasmo: noi palestinesi siamo stanchi ma internazionali come Vittorio ti regalano nuove energie perché sono la nostra lobby all’esterno».

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