La Cina colpisce la «pancia» di Trump: dazi per 50 miliardi
Guerra commerciale Nuove sanzioni al 25% per 106 prodotti: ci sono anche auto e soia Pechino chiede intervento del Wto contro «il protezionismo Usa»
Guerra commerciale Nuove sanzioni al 25% per 106 prodotti: ci sono anche auto e soia Pechino chiede intervento del Wto contro «il protezionismo Usa»
Botta e risposta nel giro di poche ora tra Cina e Stati uniti. A farne le spese le borse mondiali e una generale considerazione che fino a oggi abbiamo avuto delle forze in campo. Si tratta di uno scambio tra Pechino e Washington previsto e annunciato ma che nel suo divenire pratico e reale ha creato parecchio scompiglio su mercati e amministrazioni.
COME ANNUNCIATO nella conferenza stampa di ormai due settimane fa, ieri gli Stati uniti hanno ufficializzato la lista degli oltre mille prodotti cinesi che saranno sottoposti a sanzioni del 25 per cento: colpite per lo più l’industria aerospaziale, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la robotica e i macchinari, per un valore di circa 50 miliardi di dollari annui.
A questo proposito sono opportune due premesse: le sanzioni americane non saranno «effettive» fino ai primi di maggio per tutta una serie di audit e consultazioni da parte delle comunità business; in secondo luogo l’amministrazione Trump sembra puntare a un obiettivo sicuro: con la scusa del furto di proprietà intellettuale, gli Usa provano a colpire al cuore il programma «Made in China 2025», il fiore all’occhiello dell’economia cinese, sempre più alla ricerca di innovazione e prodotti ad alta qualità. Pechino, naturalmente, ha risposto.
Anche in questo caso la cronologia delle ultime settimane è rilevante: da lunedì 2 aprile sono attive le sanzioni cinesi (con due «barriere» del 15 e del 25 per cento) su 128 prodotti tra i quali vino, frutta e soprattutto la carne di maiale, misura che va a colpire in modo duro tutti quegli allevatori dello Iowa, (uno swing state, quindi fondamentale tanto per le elezioni mid term quanto nelle prossime nel 2020) che nelle recenti presidenziali avevano premiato proprio il presidente Donald Trump.
A UN’AGGRESSIONE alla «testa» di «Made in China 2025», Pechino ha risposto con un colpo alla «pancia», ovvero la base elettorale di Trump. Ma ieri la Cina ha aggiunto a quella lista un altro insieme di beni colpiti da dazi al 25 per cento e questa volta Pechino è andata giù durissima: sanzionate auto, aerei, tabacco e soprattutto soia, il dazio più temuto dai coltivatori americani. Solo che questa volta la misura economica cinese è ben superiore ai tre miliardi previsti dai primi dazi: in questo caso infatti il colpo all’economia americana sarà – perché queste misure diverranno effettive solo quando lo saranno anche quelle americane – di 50 miliardi di dollari, la stessa cifra che Trump vorrebbe risparmiare con le sue sanzioni anti cinesi.[/caption]
PARI E PATTA DUNQUE? Neanche per sogno. Perché la Cina ieri ha lanciato un ricorso all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto) per dirimere la disputa sui dazi; lo ha reso noto l’agenzia Xinhua dopo che in precedenza, l’ambasciatore cinese al Wto, Zhang Xiangchen, aveva definito i dazi degli Usa una «intenzionale e grossolana violazione» delle regole del Wto, di cui hanno violato «i principi fondamentali e i valori».
ED ECCOCI AL RIBALTAMENTO – che per la verità è in atto da tempo: la Cina accusa gli Usa di protezionismo e di non «competere» adeguatamente sui mercati internazionali. Una sorta di lezioncina «global» agli Usa da parte di un paese guidato da un partito comunista. Pechino ha poi provato a spiegarsi:
[do action=”citazione”]«Non vogliamo una guerra commerciale, ma non ne abbiamo paura: se qualcuno insiste per iniziarla combatteremo fino alla fine», ha detto il portavoce del ministero degli esteri cinese Geng Shuang.[/do]
Dal ministero del Commercio di Pechino la nuova mossa Usa è stata definita una «pratica tipicamente unilaterale e protezionista alla quale la Cina si oppone fermamente». Sull’essere o meno all’interno di una temibile guerra commerciale si è espresso naturalmente anche Donald Trump con il suo strumento preferito, Twitter.
GLI STATI UNITI – ha scritto- non sono in guerra commerciale, perché si tratta di «una guerra persa molti anni fa da parte di stolti, o incompetenti, persone che hanno rappresentato il paese. Ora – ha aggiunto – abbiamo un deficit commerciale di 500 miliardi di dollari l’anno, con un furto di proprietà intellettuale per altri 300 miliardi. Non possiamo lasciare che questo continui».
LE BORSE: SOTTO OSSERVAZIONE IL PREZZO DELLA CARNE
Ieri le borse hanno seguito andamenti ondivaghi, conseguenza dell’annuncio dei dazi cinesi: in serata finiranno tutte in calo ma l’effetto nefasto dei dazi sulla soia, ad esempio, ha comportato un «rally» dei produttori di carne. E proprio questo connubbio è quello che pare preoccupare maggiormente i mercati. La Cina, si dice, potrebbe riferirsi ad altri produttori per ottenere la soia (che serve anche per gli allevamenti) come ad esempio il Brasile. Come specifica la Coldiretti, questo potrebbe causare un aumento mondiale dei prezzi della carne, dovuto a oscillazioni più generali a causa dei dazi cinesi.
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