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La Cei: i figli non sono un diritto

La Cei: i figli non sono un dirittoIl presidente della conferenza dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco – LaPresse

Unioni civili L’attesa prolusione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente dei vescovi è una delusione per gli ultrà del Family day al quale non arriva l'adesione formale. L'accento va invece sulla necessità di "politiche che tutelino veramente la famiglia"

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 26 gennaio 2016

Attesa in un clima riscaldato dalle piazze arcobaleno di sabato, la prolusione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente della Cei ha forse deluso gli organizzatori del Family Day. In un breve discorso, ma a tutto tondo sull’attualità ecclesiale e del paese, il presidente della Conferenza episcopale, a differenza di quanto aveva fatto nei giorni scorsi, non ha citato la manifestazione in programma per il 30 gennaio scegliendo una linea più prudente, ma non meno chiara, per sferrare un duro affondo al disegno di legge Cirinnà. Definita «tesoro inesauribile e patrimonio universale», la famiglia – ha spiegato Bagnasco – «deve essere tutelata da politiche veramente incisive e consistenti». Su questo piano, e non su quello dei diritti civili a cui afferisce la stepchild adoption – lascia intendere il cardinale – bisogna che la politica intervenga a sostegno della crescita demografica.

Bagnasco ha poi affermato che i figli «non sono un problema di biologia riproduttiva» e men che meno «un diritto» o «cose da produrre». Da li l’attacco più duro a una società accusata di tenere in scarsa considerazione la propria prole, un’accusa che sembra in contraddizione con la successiva affermazione circa il crescente amore per la famiglia tradizionale fondata sul matrimonio e «consacrata» anche dai padri costituenti. Il cardinale ha lanciato quindi la sua sfida al parlamento, brandendo con una mano la dottrina cattolica e con l’altra la Costituzione della repubblica e il (presunto) «sentire della gente». L’obiettivo è chiamare la società tutta a opporsi a coloro che vogliono fare della famiglia «un fatto ideologico» negando ai bambini «il diritto di crescere con un papà e una mamma». Nessun passo indietro dunque, nella denuncia della pericolosità del disegno di legge, ma probabilmente una rimodulazione del discorso, pronunciato in nome della Cei questa volta, e rispondente all’attuale contesto politico e ecclesiale.

A differenza del 2007, l’anno del primo Family Day contro i Dico del governo Prodi, la politica della Cei non può contare infatti su un quadro fertile per un ricompattamento del blocco cattolico, neppure a livello parlamentare. Alla luce dell’attuale distribuzione dei consensi impraticabile risulta anche lo schema, partorito a suo tempo da Ruini, che prevedeva di far pesare un presunto «pacchetto di voti moderati» come ago della bilancia alle elezioni. In altre parole, la strategia «della presenza», che aveva reso impossibile un avanzamento in materia di diritti civili al tempo di Berlusconi, costringe oggi a un disegno analogo nei contenuti, ma che non può puntare su solide sponde politiche. Forse anche per questo, la Cei ha scelto di non aderire ufficialmente alla piazza di sabato invitando però, da una parte, i credenti alla campagna in difesa della famiglia tradizionale in quanto loro «diritto e dovere di partecipazione al bene comune», dall’altra, le forze politiche a non perdere i valori di riferimento alla base della società: valori «naturali», «non negoziabili», sanciti dalla Costituzione e dei quali la Chiesa continua a considerarsi garante.
Da questo punto di vista, si tratta quindi di una scelta in continuità con quel modello di presenza della religione nello spazio pubblico che ha dominato la scena italiana dallo scioglimento della Dc in avanti e che, in forme diverse, è stato adottato dai cattolici nelle democrazie secolarizzate con l’approvazione dei pontefici romani. Oggi, però, anche lo scenario interno alla Chiesa sembra essere cambiato, almeno parzialmente.

Come è noto, papa Francesco ha accolto con una certa freddezza la mobilitazione e, nonostante il recente appello a non equiparare la famiglia tradizionale a altre forme di unione civile, non ha sposato la campagna dell’opposizione frontale. Nelle ultime settimane tensioni molto forti si sono sviluppate anche nell’episcopato con il timore, espresso da più parti, di una strumentalizzazione della Chiesa da parte della destra. La scelta della Cei, confermata dalla prolusione di Bagnasco, è stata quindi quella di ricompattarsi negando con forza le spaccature interne, concentrando l’attenzione sui nodi sensibili del dibattito parlamentare, e lasciando però trasparire l’assenso a una democrazia in cui «il rispetto per tutti sia stile di vita, e i diritti di ciascuno vengano garantiti su piani diversi secondo giustizia». Una decelerazione, dunque, dovuta soprattutto ai malumori interni, certo non un avanzamento teorico dal momento che è difficile scorgere nel discorso di Bagnasco i segni di quell’apertura pastorale auspicata dal papa per il Sinodo, sostanzialmente disattesa dal documento finale in materia di omosessualità, ma ancora auspicata da quella maggioranza d’italiani stanchi di vivere in un paese incivile. Una maggioranza di cui fanno parte anche i cattolici.

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