Cultura

La casa di tutte le paure, dove la rabbia diventa orrore

La casa di tutte le paure, dove la rabbia diventa orroreUrs Fischer, "Untitled" (Bread House), 2004-2005

Tra gotico e noir «Il tarlo» di Layla Martínez, per La Nuova Frontiera. In una povera casa della campagna spagnola, le generazioni si susseguono nel segno del mistero, delle scomparse inspiegabili, di un orrore lucido e crescente. La giovane donna protagonista della storia racconta di quanto ha visto e percepito, di ciò che prima di lei hanno vissuto sua madre e sua nonna e di come queste ultime abbiano cercato di spiegarle l’inspiegabile

Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 maggio 2023

Una casa piena di ombre. «Erano in ogni mattone, sotto ogni piastrella, dietro la calce delle pareti, mescolate alla malta. Apparivano ogni volta che mia madre apriva la credenza della cucina, ogni volta che faceva scorrere le tende della camera da letto. Spuntavano dal buio del pozzo, strisciavano sotto il tavolo, si trascinavano nei corridoi. Mia madre le sentiva respirare vicino al letto, appostarsi dietro ogni porta». Più che «le presenze» che la abitano, la vera, indiscussa protagonista del primo romanzo firmato da Layla Martínez, già autrice di raccolte di racconti, saggi, cronache musicali e di serie tv, direttrice delle edizioni Antipersona, è lei, la casa, lo spazio di senso intorno al quale ruota Il tarlo (La Nuova Frontiera, traduzione di Gina Maneri, pp. 140, euro 16,50).

In una povera casa della campagna spagnola, le generazioni si susseguono nel segno del mistero, delle scomparse inspiegabili, di un orrore lucido e crescente. La giovane donna protagonista della storia racconta di quanto ha visto e percepito, di ciò che prima di lei hanno vissuto sua madre e sua nonna e di come queste ultime abbiano cercato di spiegarle l’inspiegabile. Il tutto con naturalezza, una sorta di abitudine alla paura, talvolta un pizzico di malcelata ironia nel dar conto di vicende destinate, altrimenti, a far tremare le vene ai polsi. Sono loro, nonne, mamme, figlie e perfino nipoti a scandire le tappe del romanzo perché, come ammette la protagonista, «in questa famiglia le donne restano vedove in fretta. Gli uomini ci si consumano come ceri in chiesa, qualche mese di matrimonio e tutto quel che resta di loro è un alone sul lenzuolo che non si lava via neanche a spellarsi le mani. Mia madre diceva che la casa li asciuga dentro finché muoiono».

NON SI TRATTA, ovviamente, di un caso. Se Martínez sceglie di evocare un tema ricorrente del romanzo gotico come quello della dimora stregata, e intrecciarlo almeno in parte con il noir, lo fa guardando più che a Poe o Lovecraft, a Daphne du Maurier e, soprattutto, a Shirley Jackson. Vale a dire ad autrici e a storie dove il soprannaturale si confonde in modo più evidente con le proiezioni del potere terreno, quello di genere ancor prima che di classe.

La casa de Il tarlo diventa così lo scenario dove uomini violenti e brutali conoscono un destino comparabile a quello che hanno cercato di imporre alle loro compagne, mogli, figlie o alle giovani donne nelle quali si sono imbattuti. Come il padre della protagonista che ha imprigionato la moglie e costretto altre donne a prostituirsi per anni: finirà murato vivo nel nascondiglio dove si era rifugiato per sfuggire al fronte durante la Guerra civile spagnola.

Allo stesso modo, le donne del romanzo finiscono per assomigliare alle streghe, mescolando come queste ultime la pratica delle arti più misteriose con la prassi dell’autodifesa. «Mia madre non aveva mai fatto una fattura, ma l’aveva vista fare ad una sua amica una volta che il padrone le aveva dato uno schiaffo per aver rovesciato un bicchiere mentre serviva la cena». Inutile aggiungere che il giorno dopo l’uomo era stato scalciato quasi a morte dal proprio cavallo, fino a quel momento «tranquillo».

L’IMPRONTA LETTERARIA dell’orrore, con la possibilità che è propria a questo codice narrativo di dar conto di ferite sociali e storiche che si è cercato di rimuovere, conduce così l’autrice a indagare, come ha spiegato lei stessa alla stampa spagnola, su traumi collettivi di cui poco o nulla si è scritto. La casa del romanzo finisce così per assomigliare al cimitero indiano su cui è stata costruita la dimora al centro di Poltergeist, il celebre film diretto nel 1982 da Tobe Hooper. Se non giustizia, quei fantasmi cercano una forma di verità attraverso la vendetta. Come le protagoniste, vessate, umiliate, violentate, nelle cui vene la rabbia scorre «come una febbre» e che solo nelle stanze piene di ombre oscure di quella vecchia casa troveranno una risposta alla propria sofferenza.

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