La Caritas sarda contro Salvini e il progetto Minniti
Migranti Il centro per i rimpatri, secondo la Regione, dovrebbe sorgere nell’ex carcere di Macomer
Migranti Il centro per i rimpatri, secondo la Regione, dovrebbe sorgere nell’ex carcere di Macomer
Alla Caritas sarda i proclami di Matteo Salvini sui porti da chiudere e sui “vice scafisti” non piacciono. In prima linea sul difficile fonte dell’accoglienza ai migranti nell’isola, il presidente sardo dell’organismo pastorale della Cei, Marco Lai, aspetta il ministro degli Interni alla prova dei fatti, ma intanto mette avanti robusti paletti. «Salvini – dice Lai in un’intervista alla Nuova Sardegna – non ha molti spazi di manovra: dare una casa a sinti e rom o costringerli a un esodo biblico; normare il fenomeno migratorio o andare in strada con l’accalappiacani per chiudere gli immigrati nei centri di controllo. Il leader leghista deve capire che la campagna elettorale è finita e che ora bisogna affrontare la realtà nel segno della giustizia e del rispetto dei diritti umani. I problemi da affrontare sono complessi. Sui rom e sui sinti se non si dà un’abitazione ai nomadi (che sarebbe la soluzione migliore) è necessario conservarne i campi e il rientro coatto degli immigrati è praticamente impossibile».
Lai, 62 anni, si occupa di profughi e di immigrazione fin dai primi anni Novanta. Quando era parroco della borgata di Santa Margherita di Pula, vicino a Cagliari, ha organizzato una carovana di solidarietà per portare camion di viveri e di medicinali agli abitanti di Mostar. E ha creato una rete per accogliere decine di famiglie di profughi bosniaci nel sud Sardegna. Finita la guerra nella ex Jugoslavia, nomadi ed extracomunitari sono diventati il centro del suo impegno.
Secondo gli ultimi dati Istat, quelli del 2017, in Sardegna tre abitanti su cento sono immigrati. Aumentano i bambini e i richiedenti asilo o protezione internazionale, calano coloro che arrivano per motivi di lavoro. Se a livello nazionale i paesi più rappresentati sono Marocco, Albania, Cina, Ucraina e Filippine, nell’isola quasi trenta immigrati su cento sono romeni, poco meno di 9 sono senegalesi o marocchini, quasi sette sono cinesi, seguiti dai filippini e via elencando. Dei 50.346 immigrati con regolare permesso di soggiorno che risiedono stabilmente in Sardegna (sono esclusi i 5.500 migranti ospiti dei centri di accoglienza), 21.739 (il 43,2%) hanno scelto di stabilirsi in provincia di Sassari, soprattutto in Gallura, mentre Cagliari ospita meno di trenta stranieri su cento (14.242), solo dieci su cento si insediano nel Nuorese, nell’Oristanese si contano 3.140 stranieri (il 6,2%) mentre nella provincia sud Sardegna risiedono 5.841 immigrati (l’11,6%).
La crescita è costante e il cambio di rotta annunciato a Roma crea preoccupazione: «Anche se in realtà – dice Lai – non c’è molto di nuovo nelle parole di Salvini. La “Bossi-Fini, attraverso il lasciapassare del lavoro a tempo determinato, ha regolato gli arrivi degli immigrati, ma non li ha evitati. L’ex ministro Minniti ha preso iniziative per impedire il diritto alla mobilità, creare una serie di filtri e di colli di bottiglia per i migranti e programmare in ogni regione un centro di controllo». Centro che in Sardegna, secondo le intenzioni della giunta Pigliaru in linea con il Minniti pensiero, dovrebbe sorgere a Macomer nell’ex carcere di Bonu Trau. Sbagliata l’idea del centro unico regionale, pessima la scelta della sede. «Su questa strada – dice Lai – il nuovo esecutivo si troverà presto di fronte a un bivio: rimpatri coatti e forzati oppure un governo razionale dell’esodo migratorio. La prima opzione costerebbe all’Italia uno sforzo organizzativo notevole, tante risorse e moltissime tensioni. La seconda, l’accettazione degli immigrati, l’inserimento». «Il vero problema è culturale, far credere che ci sia correlazione tra immigrazione e sicurezza, strumentalizzare in chiave xenofoba l’immigrazione. Salvini vuole cambiare la politica migratoria della Ue? Allora proponga di spostare il baricentro dell’Unione verso il Mediterraneo e verso l’Africa, dove si trova la frontiera di un possibile futuro sviluppo».
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