Lavoro

La Bosch di Bari come la Pomigliano di Marchionne?

La Bosch di Bari come la Pomigliano di Marchionne?

Ricatti da Jobs Act L’azienda tedesca sfrutta il taglio degli ammortizzatori del Jobs act per proporre contratto ponte in deroga che ridurrebbe orari e salari. Sennò 500 licenziamenti. Oggi incontro a Roma tra Regione Puglia, impresa e sindacati per evitare un modello atteso da tante imprese e ben visto dal governo

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 7 settembre 2017

Evitare il rischio di una nuova Pomigliano. È l’intento con cui il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano manda oggi a Roma il capo della task force occupazione Leo Caroli ad incontrare la proprietà della Bosch di Modugno (Bari) e i sindacati.
Il tentativo è quello di trovare un’alternativa alla richiesta dell’azienda: un contratto ponte in deroga al contratto nazionale con orari e salari ridotti per affrontare la crisi produttiva. Si tratterebbe di un contratto pilota su cui però hanno già messo gli occhi decine di imprese: un nuovo strumento per gestire le ristrutturazioni ai tempi del Jobs act. Tradotto: non ci sono più gli ammortizzatori sociali – la cassa integrazione è stata ridotta di durate e di importo e disincentivata (alle imprese costa di più) – e allora chiedo a tutti i lavoratori di rinunciare a ore e centinaia di euro per evitare i licenziamenti.
«La cosa che ci preoccupa di più è che i tecnici del governo abbiamo espresso interesse per questa idea – spiega Saverio Gramegna, segretario della Fiom di Bari – mentre da parte nostra c’è totale opposizione». Nel mese di luglio ci sono state 16 ore di sciopero unitarie «con adesione costante al cento per cento», ricordano i sindacalisti.
Il tutto avviene nella secondo – dopo l’Ilva di Taranto – presidio produttivo per importanza della Puglia: oltre 1.900 lavoratori (gran parte operai specializzati) che fino al 2008 erano sicuri di aver trovato il posto della vita.
A fare le veci del Sergio Marchionne del 2009 – che uscì da Confindustria inventadosi il contratto collettivo specifico di lavoro in deroga al contratto nazionale – questa volta c’è una multinazionale tedesca, finora in Italia sinonimo di rispetto della rappresentanza sindacale e di contratti innovativi e condivisi.
Questa volta invece siamo davanti a tutto il contrario. Se la Fca di Marchionne investirà milioni sulla vicina Magnetti Marelli – che cerca di scorporare e vendere – e la Getrag che fa trasmissioni per auto – e completa il simildistretto della componentistica automotive barese – attraversa un buon momento, è la Bosch ad essere da tempo in difficoltà.
La scusa del diesel gate non sta in piedi: nello stabilimento che produce pompe per i motori diesel del sistemi «Common Rail» – un brevetto che ha dato grande mercato alla Bosch – gli ammortizzatori sociali vanno avanti dall’ormai lontano 2008. «È da quel momento che l’azienda ha smesso di investire sullo stabilimento, non da quando è arrivato lo scandalo diesel gate», denuncia Vito Piazza, 37enne Rsu Fiom da 17 alla Bosch di Modugno. «Già dal 2015 siamo in contratto di solidarietà al 60 per cento e una riduzione del salario che ormai è del 30 per cento a causa delle fine delle integrazioni. Il contratto scade proprio il 16 settembre ed è questa la data su cui punta l’azienda per introdurre il contratto ponte: il clima in fabbrica è pesante ci sentiamo come alla breccia di porta Pia», racconta.
Ogni passaggio epocale in fatto di relazioni sindacali poggia sempre su un ricatto: in questo caso se i sindacati non apriranno al contratto ponte la cifra di licenziamenti è già stata fissata: 500 su 1.900. Con apertura della procedura già il 18 stesso, ha fatto capire ad inizio agosto il capo dello stabilimento barese Uwe Mang. L’opzione è sottoscrivere un accordo con i rappresentati dei lavoratori per ridurre l’orario lavorativo in virtù di un contratto «ponte» da 40 a 30 ore settimanali nell’arco di cinque anni con una scadenza predefinita: 38 ore enl 2018; 35 nel 2019; 32 nel 2020, 30 nel 2021-22. Una riduzione di orario che si traduce nel taglio di ben il 25 per cetno di salario.
Sull’incontro di oggi la Fiom non nutre molte aspettative. «Se l’azienda non cambia posizione, non credo che ci siano novità», pronostica Gramegna. «Da parte nostra la richiesta è di nuovi investimenti, di un cambio della produzione, distaccandosi dal diesel come stanno facendo tutti da anni, ma sempre rimanendo nell’automotive».
«La mia paura invece è che Fim e Uilm (maggioritarie nello stabilimento, ndr) inizino a non essere così unitarie», dice preoccupato Vito. Proprio come successe a Pomigliano.

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