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La bianca e il nero, quel linciaggio del ’55 che cambiò tutto

La bianca e il nero, quel linciaggio del ’55 che cambiò tuttoLa storica foto di Moses Wright, lo nonno di Till, che indica gli assassini in tribunale – Getty Images

Stati Uniti Morta la donna che accusò di molestie il ragazzino Emmett Till. Assassini assolti, ma intanto nasceva il movimento per i diritti civili

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 aprile 2023

È una aspra coincidenza che nello stesso giorno, il 25 aprile 2023, siano morti Harry Belafonte e Carolyn Bryant Donham. Le due facce dell’America. L’afroamericano, generoso campione dei diritti civili e dell’uguaglianza; la donna bianca, capace di odio razziale, a cui è legata la storia della martirizzazione del ragazzino nero Emmett Till dell’agosto 1955.

Del primo e dei suoi meriti tutti hanno scritto subito e volentieri. Impossibile, invece, conoscere Carolyn Bryant e volerle bene. Chi ne ha scritto, forse ancora con un nodo allo stomaco, avrà dovuto cercare in rete.

IL QUATTORDICENNE Emmett, di Chicago, era appena arrivato dai nonni per le vacanze estive a Money, poco più di un villaggio nella regione cotoniera del Delta, nel nord del Mississippi. Il 24 agosto, giocava con altri ragazzini davanti all’emporio di Carolyn e Roy Bryant.

Emmett Till

Entrò nel negozio a comprare chewing gum (o caramelle) e fu servito dalla ventunenne Carolyn, allora una bella ragazza. Rimase dentro un minuto. Lei disse poi, da testimone nel processo che seguì, che al momento del pagamento l’aveva rincorsa, presa per un braccio e alla vita, sfidandola a un rapporto sessuale con lui e dicendole parole «irripetibili».

Forse, invece, uscendo, il bulletto di città le disse qualcosa tipo «goodbye», o fischiò un apprezzamento all’indirizzo della donna di fronte agli amici. O forse aveva soltanto sfiorato la sua mano, dandole quei pochi centesimi invece di metterli sul banco. Emmett proveniva dal South Side di Chicago, conosceva la vita segregata del Nord, ma non i codici della segregazione del Mississippi.

NELLA NOTTE del 28 agosto Emmett fu prelevato dalla casa del nonno Moses Wright e condotto lontano, picchiato, forse castrato, ucciso a colpi di pistola e buttato nel fiume Tallahatchie, appesantito da una grossa ventola da mulino fissata al collo col filo spinato.

Gli assassini erano Roy Bryant e il suo fratellastro J.W. Milam. Erano stati visti prelevare Emmett e furono arrestati per rapimento. Quando il corpo fu ritrovato, tre giorni dopo, furono accusati anche del suo assassinio.

I PROCESSI che seguirono furono due e nel primo, il 19 settembre, Carolyn Bryant raccontò “i fatti” del negozio. In tribunale, fatto senza precedenti, l’anziano Moses Wright si alzò in piedi e indicò nei due uomini i sequestratori di Emmett: la foto di lui col dito puntato è entrata negli annali dell’orgoglio e della resistenza nera.

Alla fine del dibattimento, uno dei difensori, rivolgendosi alla giuria di maschi bianchi, disse che in caso di condanna «i vostri padri si rivolteranno nella tomba, ma sono sicuro che voi, anglosassoni come siete dal primo all’ultimo, avete il fegato di mandare liberi questi uomini».

E infatti i due rapitori e assassini furono assolti, allora e nel secondo processo, a novembre. Del resto, non era mai successo in Mississippi che dei bianchi fossero condannati per un reato commesso ai danni di un afroamericano.

Carolyn Bryant nel 1955

La madre di Emmett rifiutò la sepoltura del figlio in Mississippi. Lo riportò a Chicago e, prima del funerale, volle che il feretro fosse esposto al pubblico. A bara aperta, disse, «perché il mondo veda».

La rivista afroamericana Jet pubblicò la foto del volto sfigurato dalle botte e dal proiettile che gli aveva anche asportato un occhio. Il pellegrinaggio senza sosta delle visite ritardò il funerale di tre giorni.

L’EFFETTO nelle comunità nere fu dirompente. La grande stampa, già costretta a rompere la propria omertà con il razzismo nel Sud dalle vicende della desegregazione scolastica del 1954, ne amplificò gli echi. Decine di inviati furono mandati a seguire i processi di settembre e novembre.

E non erano ancora tornati a casa quando iniziò – ai primi di dicembre – lo sciopero degli autobus di Montgomery, innescato dal gesto coraggioso, deliberato, di Rosa Parks. I dieci anni delle lotte afroamericane contro la segregazione razziale e per i diritti civili entravano così nella loro fase più esaltante e terribile.

Dopo il 1955, i Bryant ebbero vita grama. La comunità nera dei lavoratori del cotone di Money boicottò il loro negozio, che chiuse i battenti nel giro di qualche settimana. Guardati storto anche dagli altri bianchi, lasciarono Money per la Louisiana e il Texas, prima di tornare in Mississippi.

Anni dopo, Carolyn divorziò da Roy Bryant, ubriacone e violento, si risposò e si trasferì infine a Raleigh, in North Carolina. Nei decenni successivi, non ripeté mai allo stesso modo la storia dell’insulto subito.

E infine, stando allo storico della Duke University Tymothy Tyson, che la intervistò nel 2008, disse di non ricordare bene gli avvenimenti della notte del 28 agosto, affermando però che la parte della sua antica testimonianza relativa all’aggressione subita nel negozio «non è vera».

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