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La app che non disturba i manovratori della Rete

La app che non disturba i manovratori della ReteLa app dell'Istituto di sanità della Norvegia – Ap /LaPresse

Big Data Centinaia di esperti del settore chiedono al governo italiano di correggere alcune caratteristiche di Immuni. Ma per quanto autorevole, la petizione non scioglie i molti nodi tra Rete, pandemia e sicurezza pubblica

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 22 aprile 2020

Tutti ballano attorno all’app.

Governo, opposizione e esperti di ogni tipo cercano spazio e ruolo intervenendo sul dispositivo approvato dalla ministra dell’Innovazione Pisano.

Addirittura anche Google e Apple si sentono autorizzati a dire la loro, sempre in maniera disinteressata, come al solito.

Bandiera di tutto il dibattito è una lettera aperta ai decisori, firmata dal gotha dell’intellighenzia digitale italiana che spiega perché la soluzione Immuni sia comunque il meglio possibile.

Scienziati, docenti, amministratori, saggisti, ricercatori. Una vera olimpiade delle migliori esperienze maturate nella rete che chiedono al parlamento di non perdere tempo e soprattutto non farsi venire altre idee. Se app deve essere che solo app sia.

La lettera ci fa capire quali siano le ragioni di chi non vuole allargare il discorso dei dati sul vero nodo politico che abbiamo dinanzi: chi sono i proprietari e i veri decisori di questa materia pregiata, persino quando siamo in piena emergenza sanitaria?

La risposta è indirettamente legata alla struttura della soluzione che è stata adottata, benché non manchino dubbi e perplessità, perfino l’arrendevole commissario Arcuri ieri ha fatto sapere che bisogna correggere qualcosa.

A partire, ad esempio, dalla indicazione del soggetto pubblico che dovrà gestirla, e non si capisce chi possa essere se non il ministero della sanità, oppure sul nodo del server su cui dovrà appoggiarsi, e anche non indifferente sarebbe capire quali garanzie ci siano che i dati che rimarranno residenti nei telefonini, come chiedono non a caso i titolari dei due sistemi operativi monopolisti Apple e Google, e non saranno risucchiati dagli stessi sistemi (iOS e Android) che guidano il mercato mobile.

Ma i punti più di sostanza della lettera, che fanno da premessa anche per l’ambigua posizione del governo, come è stata presentata dal premier Conte, riguardano proprio i principi e l’approccio che si propone per l’intera strategia di organizzazione dei dati in rete.

Tre sono i punti nodali del testo, tanto autorevolmente firmato: una preoccupazione di merito, una condizione pregiudiziale, e una scelta di campo.

La preoccupazione riguarda, come ormai è sport nazionale, la privacy dei cittadini, a cui ci si attacca per evitare ogni imbarazzante riflessione sul mercato dei dati.

Ossia in un contesto quale quello attuale, in cui stiamo misurando gli effetti tragici dell’inadeguatezza del sistema epidemiologico e sanitario a processare e integrare flussi di dati dalle più diverse provenienze per scorgere tendenze e scenari urgenti, la preoccupazione che viene caldeggiata è quella che “nell’effettiva messa in campo dell’applicazione (o delle applicazioni) si possano insinuare interessi che hanno priorità diverse da quella della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e che quindi siano adottate e implementate soluzioni in deroga alla normativa a protezione dei dati”.

A chi pensano i prestigiosi firmatari? Chi potrebbe insinuarsi e inquinare la democrazia sulla base di tali dati? Certo nessuno sembra tirare in ballo i detentori dei principali data base globali, come sono gli Over The Top americani.

Forse qualche sospetto si allunga sulla stessa burocrazia statale o gli apparati politici che la fiancheggiano. Insomma il principale indiziato è lo stato. Cosa che non aiuta se si vuole, come l’app vuole fare, supportare una strategia pubblica per la sanità collettiva.

Se il nemico è lo stato non andiamo lontano in questa azione di sostegno alla politica di contrasto al virus.

La condizione pregiudiziale che traspare è quella di rimanere connessi ai principi fissati dall’Unione europea per questi meccanismi di tracciamento che prevedono che sia “possibile utilizzare dati digitali di prossimità se memorizzati nei dispositivi, e quindi senza ricorrere a server centralizzati, e senza derogare o limitare alcun principio o norma a protezione dei dati personali”.

Ovviamente questa scelta dovrebbe essere coerente con il quadro generale, ossia l’Unione Europea, e i sistemi nazionali che si adeguano dovrebbero avere la stessa capacità normativa con cui vogliono regolamentare le app nazionali per gli altri soggetti che accumulano dati di prossimità e di identificazione dei comportamenti sociali.

Torniamo così ai nostri cari giganti della rete: chi glielo dice a Facebook e Google che devono assicurare anche loro un sistema di decentramento e momentaneità nell’accumulo e uso dei dati?

Infine arriviamo alla scelta di campo: nessuno dei firmatari prevede che in questa circostanza, in cui la connessione fra informazioni e sicurezza personale di migliaia di persone è cosi conclamata, si possa pretendere di civilizzare un mercato talmente squilibrato e subalterno a poteri che dispongono di mezzi così predittivi da inficiare qualsiasi concorrenza nei loro confronti da parte di altri soggetti economici e istituzionali.

Insomma l’app va approvata perché tutto sommato ci garantisce che non disturberà nessun manovratore, e forse potrà persino essere utile, se ci si applica.

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