È la storia di un fraintendimento, l’ennesimo di questa annata abbondante di governo Meloni. Questa volta ad essere finito nel gorgo del malinteso è il presidente del Senato Ignazio La Russa, che ieri mattina, alla tradizionale cerimonia dello Scaldino per lo scambio di auguri natalizi con la stampa parlamentare, si è prodotto in un numero di cabaret lungo 50 minuti. Niente di male, se non stessimo parlando della seconda carica dello Stato. Le sue pittoresche risposte alle domande dei cronisti, sotto lo sguardo terrorizzato del portavoce Emiliano Arrigo, hanno creato l’ennesimo incidente diplomatico per la maggioranza. Soprattutto la parte in cui si è parlato della futura riforma costituzionale e, di conseguenza, del presidente della Repubblica.

Queste le parole di La Russa: «C’è una Costituzione materiale ormai che attribuisce al presidente poteri più ampi di quella che la Costituzione in origine prevedeva. E un’elezione diretta del presidente del Consiglio potrebbe ridimensionare l’utilizzo costante di questi ulteriori poteri. Sarebbe un atto di salute della nostra Costituzione, non un atto di debolezza: lascerebbe al presidente quei compiti che i padri costituenti vollero in larga parte e che ha dovuto meritoriamente allargare nel tempo, per supplire a carenze della politica, tra i quali quelle della necessità della politica di difendersi dalla durata troppo breve dei governi».

IN SOSTANZA La Russa ha reso palese l’obiettivo implicito del cosiddetto premierato: ridimensionare il Quirinale, ingabbiandolo in una riforma che, per la verità, per come è scritta attualmente andrebbe molto al di là delle intenzioni dei costituenti, andando a toccare in maniera sostanziosa assai l’equilibrio dei poteri della Repubblica. Va da sé che le opposizioni si sono accorte subito dell’uscita di La Russa e hanno sottolineato come, di fatto, sia un inedito attacco alla prima carica dello Stato da parte della seconda.

«Giù le mani», intima Francesco Boccia del Pd, seguito a ruota da Luana Zanella dell’Avs: «Ogni giorno questa destra mette a nudo i suoi veri scopi». E mentre nel pomeriggio le agenzie si sono riempite di dichiarazioni più o meno scandalizzate dei parlamentari della minoranza, La Russa ha vergato una nota per correggere il tiro: «Il progetto di riforma costituzionale futura non modifica i poteri del presidente della Repubblica. Il totale rispetto verso il presidente Mattarella è tanto ovvio quanto conclamato». Tra le altre conclamate ovvietà, ad ogni modo, La Russa si è trovato a dover spiegare anche quanto detto ad Atreju sulle influenze sovietiche della costituzione italiana: «Anche se avessimo scritto una costituzione come quella della Russia del Pcus (sic), i filosovietici, che ancora ci sono in Italia, ci avrebbero criticato».

LA CURIOSITÀ su dove siano oggi in Italia i filosovietici resta insondata, ma sulla Costituzione il presidente del Senato ha tenuto il punto: «Credo che la carta debba e possa essere cambiata nella seconda parte». Sul come La Russa sostiene di avere idee anche diverse da quelle sin qui uscite. Per esempio dice di non essere d’accordo sulla possibilità di cambiare governo in corso di legislatura, preferendo il sistema in vigore nei Comuni, il «simul stabunt simul cadent» che legherebbe il premier al parlamento: se cade il primo, va a casa anche il secondo e si torna a votare. Fantasie costituzionali, allo stato attuale: il premierato – «al di sotto del quale c’è solo lo status quo», sostiene La Russa – resta il cuore della riforma. Salvo ulteriori fraintendimenti.