«Proteggi i tuoi confini. Non farli passare. Focalizzati sull’obiettivo e lancia». Le istruzioni per giocare con Zafer Tourism sono un conciso ma efficace inno al razzismo. Il videogame della turca Gacrux Game Studio era disponibile su Google Play prima che alcuni giornalisti ne denunciassero l’esistenza. Poco dopo è scomparso. Difficile dire quante persone lo abbiano scaricato. Si sa però a cosa si sono divertiti a giocare: al lancio del rifugiato. Nello specifico, siriani «sparati» oltre la frontiera turca da donne e uomini furiosi e dotati di un’arsenale di catapulte.

Zafer Tourism è il prodotto di quel sottobosco di razzismo anti-siriano che investe la Turchia da anni e cresciuto via via che si stabilizzava la presenza di 3,6 milioni di richiedenti asilo (Ankara non gli ha mai riconosciuto lo status di rifugiati, solo protezione speciale).

UN SOTTOBOSCO che, da invisibile, è diventato presenza ingombrante nella società e nelle istituzioni: da una parte aggressioni, pestaggi, sgomberi realizzati da privati cittadini; dall’altra una campagna politica ai più alti vertici governativi, sempre più feroce, che ha istigato – e in qualche modo “legittimato” – l’odio anti-arabo. E che ha costretto centinaia di migliaia di profughi in condizioni socio-economiche pessime, mentre incassava dall’Unione europea sei miliardi di euro per bloccare i flussi migratori.

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In campagna elettorale gli ultra-nazionalisti hanno sfruttato la carta rifugiati per accaparrarsi voti, dipingendo i siriani come la ragione prima di una crisi economica brutale e auto-prodotta. Il ballottaggio per le presidenziali ha inasprito la battaglia: i rifugiati sono ora il nemico numero uno di entrambi i candidati, l’attuale presidente Recep Tayyip Erdogan e lo sfidante nazionalista laico Kemal Kilicdaroglu.

Quello cioè intorno al quale ha sciamato l’opposizione al governo dell’Akp, galassia composita e contraddittoria ma che finora aveva evitato di buttarla sul razzismo più becero. Anche per la presenza, seppur sottoforma di alleanza indiretta, del Green Party, etichetta scelta dalla sinistra filo-curda del Partito democratico dei Popoli (Hdp), che ha accettato di appoggiare Kilicdaroglu.

Parte dei suoi sostenitori, il 10% dell’elettorato, probabilmente lo voterà ancora, consapevole però che l’occasione di una reale democratizzazione è già persa. Tanti altri, no. Ed è qui che rispunta Zafer Tourism. Perché quel nome, Zafer (vittoria in turco), è lo stesso del Partito della Vittoria del leader xenofobo Umit Ozdag. E Zafer Tourism è lo stesso nome della campagna che Ozdag lanciò lo scorso gennaio con un video di due minuti in cui chiedeva donazioni per acquistare biglietti di sola andata per autobus diretti in Siria così da «svuotare» il paese dai richiedenti asilo (ai donatori anche la possibilità di scegliere il siriano da deportare).

GACRUX GAME STUDIO ha negato legami con Ozdag (ma per lo meno il brand glielo dovrebbe concedere). Il problema politico resta: lo sdegno suscitato dal videogame è arrivato in contemporanea alle dichiarazioni del leader del Partito della Vittoria. Mercoledì ha annunciato il sostegno a Kilicdaroglu, alleanza cementata dalla comune intenzione di rispedire indietro milioni di rifugiati entro un anno e dalla sua nomina a ministro degli interni.

Se su questo secondo punto non c’è conferma (l’accordo tra il Chp di Kilicdaroglu e il Partito della Vittoria non parla di nomine ministeriali), il 18 maggio – quattro giorni dopo il primo turno – il candidato di opposizione ha promesso di deportare «dieci milioni di rifugiati», dato palesemente assurdo, e accusato Erdogan di «non aver protetto i confini e l’onore (della Turchia)». Continua a dire lo stesso in decine di tweet, video sui social e cartelloni elettorali, pressoché unico focus della sua narrazione.

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Lo scorso martedì si è spinto oltre. Ad Hatay, provincia al confine con la Siria, duramente colpita dal terremoto del 6 febbraio, ha tenuto un comizio di fuoco: «Non faremo mai della Turchia un deposito di rifugiati. Le lamentele sui profughi che abbiamo sentito qui ad Hatay sono le stesse sentite in 81 province. Prendete una decisione prima che i rifugiati si prendano il paese». Ha chiuso con l’impegno a deportarli entro due anni (non uno, dunque) grazie alla «pace che faremo con la Siria». Poi possono tornare, ha detto, ma da turisti per un fine settimana di svago.

ALLA FINE il nazionalismo kemalista fondativo della Repubblica di Turchia e del Chp, la più antica formazione politica del paese, è riesploso in faccia a chi aveva immaginato un’alternativa alla “turchizzazione” sognata da Ataturk cento anni fa e da ogni leader che lo ha seguito.

Un brutto colpo anche per alcuni pezzi dell’Alleanza della Nazione: qualche decina di membri di partiti di centrodestra, non proprio tacciabili di progressismo, si sono dimessi dissociandosi dalle parole di Kilicdaroglu, tra loro neo-deputati del Partito del Futuro dell’ex premier Davotoglu (scaricato da Erdogan nel 2016) e del Partito del Progresso e la Democrazia dell’ex vice primo ministro Babacan (uscito dall’Akp nel 2020). Per guadagnarsi qualche pugno di voti, Kilicdaroglu ne ha bruciati moltissimi di più.