Il governo del Ruanda ha da poco pubblicato i suoi dati sulle esportazioni di coltan (columbite-tantalite), annunciando di essere stato nel 2023, con 2.070 tonnellate, il più grande esportatore globale di questo minerale. Dal coltan si estraggono niobio e tantalio, indispensabili nella produzione elettronica, informatica e automobilistica globale: per capire l’importanza di questo minerale, basti pensare che ogni smartphone sul pianeta contiene al suo interno circa 40 milligrammi di coltan. Compreso lo smartphone che stamattina ti ha svegliato.

Il secondo paese al mondo nella classifica dell’export di coltan è la Repubblica democratica del Congo (RdC), che ha un territorio molto più vasto del piccolo vicino ruandese e che nel 2023 ha esportato 1.918 tonnellate di questo minerale. Sommati insieme, tra il 2014 e il 2023 i due Paesi hanno esportato 32.702 tonnellate di coltan: è una competizione che va avanti serrata, che non si limita ai dati della bilancia commerciale e che avviene in un contesto sul territorio molto critico, dove il sangue scorre a fiumi.

L’EST DELLA RDC è, da trent’anni, teatro di uno dei conflitti più sanguinosi e apparentemente irrisolvibili al mondo, ma anche una delle zone più ricche di minerali del pianeta: in un arco di tempo di dieci anni, la RdC ha esportato la maggior parte del coltan prodotto nel bacino del fiume Congo, 17.330 tonnellate contro le 15.374 tonnellate del Ruanda, ma sul terreno sta attualmente soffrendo il conflitto con le varie formazioni armate attive nella regione e le forti tensioni in atto con il vicino.

Il Ruanda, da sempre, è accusato dalla RdC di armare, proteggere e dare sostegno al gruppo M23, tra i più sanguinari eserciti ribelli d’Africa, e che in questo momento si trova alle porte di Goma, capitale del Nord-Kivu, sotto assedio. Solo a marzo, nel Nord-Kivu gli sfollati sono aumentati di 160.000 unità e proprio Goma ospita oltre un milione di persone sfollate dal conflitto.

A QUESTA SITUAZIONE si sommano le altre, nuove, gravissime accuse, cadute nel vuoto, del presidente congolese Felix Thisekedi al Ruanda: a marzo, commentando l’accordo stipulato dal Ruanda con l’Unione europea finalizzato a promuovere catene del valore «sostenibili e resilienti» per le materie prime critiche, coltan compreso, Tshisekedi ha accusato Bruxelles di essere «complice» nel saccheggio delle risorse alla RdC: «Il Ruanda oggi si costruisce grazie alle risorse rubate alla Repubblica democratica del Congo» e i minerali dell’accordo con l’Europa sarebbero «prodotti rubati» alla RdC.

Da dove arriva quindi il coltan che fa primeggiare nelle esportazioni e arricchire il Ruanda? La risposta a questa domanda non è facile. Certamente l’Europa sembra volerla tenere lontana: il giorno prima della firma dell’accordo Ue-Ruanda il ministero degli Esteri francese ha lanciato un appello a Kigali affinché cessi di sostenere l’M23 e la stessa Unione Europea ha più volte chiesto al presidente ruandese Paul Kagame di rompere ogni legame con i ribelli e di ritirarsi dal territorio congolese.

APPELLI, RICHIESTE, DENUNCE, tutto è caduto nel vuoto, perso nei bit dei circuiti dei milioni di smartphone insanguinati che giacciono ora nelle nostre tasche. Ma non solo gli smartphone: mentre l’Unione Europea stanzia e investe miliardi per la transizione energetica, che si fa necessariamente con i minerali insanguinati provenienti da quelle terre africane, nel 2023 il piano di risposta umanitaria per la Repubblica democratica del Congo è stato finanziato solo per il 40%. Ma nessuno, da queste parti, sembra voler guardare la realtà.