Un mega progetto di rimozione della CO2, finanziato da Ue e Stati Uniti, rischia di compromettere lo stile di vita dei popoli indigeni in Kenya. Sarebbero in pericolo diritti e mezzi di sussistenza. A rivelarlo è il rapporto Blood Carbon: come un sistema di compensazione del carbonio fa milioni con le terre indigene del Kenya settentrionale di Simon Counsell, scrittore e ricercatore indipendente, e l’organizzazione non governativa Survival International.

ALLA BASE DEL BUSINESS, PROMOSSO sotto l’egida dell’ecologismo e della tutela ambientale e considerato un modello di riferimento dalla Commissione europea, ci sono i crediti di carbonio, un certificato negoziabile equivalente a una tonnellata di CO2 non emessa. Lo scopo dichiarato è di ridurre le emissioni globali. Il Northern Kenya Carbon Project – si legge sul sito – «è il primo progetto su larga scala al mondo per l’eliminazione del carbonio dal suolo delle praterie». Punta a rimuovere 50 milioni di tonnellate di CO2 in 30 anni, «l’equivalente – dice Northern Rangelands Trust (Nrt), l’ente promotore – delle emissioni annuali di oltre 10 milioni di automobili».

LO FINANZIANO L’AGENZIA DEGLI STATI UNITI per lo sviluppo internazionale, la Reale ambasciata danese, l’Unione europea, la Francia, la Svezia, il re del Regno Unito Carlo III, la Federal Reserve Bank of New York, numerose associazioni animaliste e ambientaliste e vari zoo, anche australiani. Il valore lordo di questa operazione, calcolato nel rapporto di denuncia, ammonterebbe a più di circa 500 milioni di dollari. Stando a quanto riferiscono i promotori, «la vendita di questo carbonio sequestrato dai pascoli comunitari nel Kenya settentrionale creerà un reddito aggiuntivo e molto necessario per le comunità e rafforzerà gli sforzi di conservazione, compreso il miglioramento dell’habitat di quattro specie endemiche in via di estinzione – il rinoceronte nero orientale, la zebra di Grevy, la giraffa reticolata e l’orice di Beisa – e affronterà gli impatti del cambiamento climatico».

TRA GLI ACQUIRENTI DI CREDITI DI CARBONIO figurano Netflix e Meta Platforms (ex Facebook). In termini di emissioni il Paese africano non si colloca tra i grandi inquinatori del mondo, che puntano però a riequilibrare qui i danni prodotti. La rimozione del carbonio riguarda un’area molto vasta di 1,9 milioni di ettari, in cui vivono circa 100 mila abitanti tra cui gli indigeni Samburu, Masai, Borana e Rendille. «Sono tutti popoli pastorali dallo stile di vita indissolubilmente legato al loro bestiame, principalmente bovini, ma anche cammelli, pecore e capre – spiegano gli autori del rapporto di denuncia – generalmente – dicono – il pascolo segue le precipitazioni locali e regionali, a volte lungo rotte migratorie che possono estendersi per centinaia di chilometri». È proprio il pascolo ad aver subito un mutamento. Di comune accordo con le 14 comunità conservatrici coinvolte, sostiene la Northern Rangelands Trust (Nrt), è stato introdotto il pascolo a rotazione pianificato, il che consentirebbe – secondo gli ideatori dell’iniziativa – una ricrescita più prolifica della vegetazione. L’assunto posto alla base di questa modifica sostanziale delle tecniche usate da secoli, stando a quanto pubblicato da Survival International, non sarebbe fondato perché non vi sarebbero evidenze empiriche che «le forme tradizionali di pascolo degradino il suolo e che solo il progetto sul carbonio possa porvi rimedio».

NEL CORPOSO DOCUMENTO SI SPIEGA come ad essere presumibilmente interessati dal cambiamento indotto sarebbero gli antichi e tradizionali sistemi di gada e mpaka utilizzati dai Borana, nel primo caso, e dai Samburu, nel secondo. L’alternativa introdotta è quella di «un modello collettivizzato e controllato a livello centrale, più simile all’allevamento commerciale. Oltre a essere culturalmente devastante, questa sostituzione – scrivono – potrebbe anche mettere a rischio i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare dei popoli pastorali; il bestiame sarebbe infatti costretto a rimanere all’interno dell’area del progetto, senza poter più migrare seguendo le piogge durante i periodi di siccità stagionali (che oltretutto stanno peggiorando)».

LE CRITICITA’ RIVELATE NELLA RICERCA riguardano vari aspetti. In primis l’impatto sulle comunità, che – sebbene venga ufficialmente dichiarato siano state coinvolte attraverso l’istituzione delle Aree di conservazione e la sottoscrizione dei documenti – non avrebbero rilasciato – secondo Simon Counsell e Survival International – il consenso previo, libero e informato. Tra le dichiarazioni raccolte sul posto vi sarebbe chi afferma che il consiglio degli anziani delle varie tribù sia stato sostituito da quello della Northern Rangelands Trust. «Queste persone – fa sapere un residente intervistato – hanno venduto la nostra aria».

IN «BLOOD CARBON» SI FA RIFERIMENTO anche all’assenza di conferme sull’effettivo principio di addizionalità del carbonio e quindi sulla fondatezza scientifica dell’iniziativa, avviata nel gennaio del 2013 e riconosciuta dal sistema Verra che dovrebbe garantire che i progetti di compensazione di carbonio generino riduzioni delle emissioni reali, credibili e permanenti. Il sistema di rilevamento del carbonio avviene «attraverso il telerilevamento di indicatori indiretti del carbonio nel suolo (cioè un indice di copertura vegetale) piuttosto che dalla misurazione diretta del carbonio nel suolo».

NEL TRIENNIO 2013-2016, SI APPRENDE che sarebbero stati generati 3,2 milioni di crediti di carbonio. Tutti venduti entro gennaio dello scorso anno. Secondo le stime del rapporto, il valore economico si aggirerebbe tra i 21 e i 45 milioni di dollari. A comprarli in gradi blocchi sarebbero stati Netflix, con 180 mila crediti, e Meta Platforms con 90 mila crediti. «A febbraio 2023, 1,3 milioni di tali crediti erano già venduti – spiega Survival International – per lo più sempre in blocchi molto grandi (e anonimi)». I proventi – secondo Nrt – andrebbero alle comunità locali ma anche questo non sarebbe certo, denuncia l’Ong internazionale.