Kenya, il villaggio delle donne rifiutate
Kenya è la patria di Wangari Maathai, la prima donna africana, portata via da un cancro, a essere insignita del premio Nobel, nel 2004, grazie all’importante contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace. Grazie a lei abbiamo imparato a conoscere le contraddizioni del Kenya, fra bellezza paesaggistica e restrizioni dei diritti, fra emergenza climatica e rilancio imprenditoriale, fra analfabetismo e progetti scientifici tutti al femminile.
Partiamo appunto dalle donne, fondamentali in una società a tratti matriarcale e a tratti oppressiva verso di loro. Una delle principale cause dell’oppressione femminile, in Kenya, è la tradizionale divisione dei ruoli tra i due sessi, diffusa soprattutto nei territori rurali, dove le donne rappresentano la spina dorsale della società, poiché svolgono il lavoro domestico insieme alla maggior parte del lavoro agricolo. L’isolamento dei compiti femminili all’ambito domestico è dovuto, anche, dall’impossibilità, da parte della donna, di accedere al diritto di proprietà, sia esso riferito ai campi, alla casa, al bestiame; nonostante il reddito familiare sia largamente integrato dal lavoro femminile.
Tra il 1980 e il 1990, i soldati britannici, nelle basi militari della zona, violentarono quasi un migliaio di donne, le quali, come si scrisse da più parti, furono tacciate dai loro uomini come «contaminate e sporche». Un orrore nell’orrore. Queste giovani donne furono ulteriormente punite, subirono pesanti violenze morali, fino a essere costrette a lasciare i propri villaggi per sfuggire al giudizio. Una di queste, un giorno, osò parlare. Il suo nome è noto ad alcuni appassionati del continente africano. Rebecca Lolosoli è una donna samburu, fondatrice dell’Umoja Village, un villaggio matriarcale, a 380 chilometri da Nairobi. Il villaggio delle donne rifiutate è nato dall’esigenza di dare vita a uno spazio autentico dove le donne abusate potessero vivere tranquille con i loro figli. Fondato nel 1990 da una quindicina di donne, Umoja ha attraversato non poche difficoltà. La prima dovuta all’impossibilità di autosostenersi, in quanto alle donne non è concesso, come dicevamo in apertura, possedere autonomamente terreni. Così, inizialmente, la sopravvivenza avveniva vendendo ai turisti, in visita presso le riserve nazionali adiacenti, ortaggi acquistati o artigianato tradizionale legato a dei raffinati tessuti. Il loro motto è diventato: «la creatività per la sopravvivenza». Lo Stato, dopo aver preso atto dell’esistenza del villaggio, ha cercato saggiamente di supportarlo anche col sostegno del Kenya Heritage and Social Services e del Ministero della Cultura. La voce si sparse, l’Umoja Village divenne un caso esemplare, tanto che la fondatrice fu invitata presso le Nazioni Unite nel 2005. L’episodio è noto anche come «il femminismo keniota». Ad oggi questa non è l’unica esperienza femminile esemplare da quelle parte.
La Serene Haven Girls Secondary School, ad esempio, è una scuola keniota di Nyeri, città del centro del Kenya situata su una collina sotto il Monte Kenya – e non è una scuola privata come tutte le altre: ospita giovani donne sole in gravidanza o con neonati al seguito, per dare la possibilità a queste ragazze di completare gli studi nonostante la maternità, spesso indesiderata. Le 17 madri adolescenti e ragazze incinte accolte a Serene Haven erano state costrette a lasciare le scuole locali a causa della gravidanza; ora dopo lo stallo per la pandemia da covid, viene loro offerta una seconda chance di vita e di istruzione. (segnalo questa fonte: https://aliceforchildren.it/2022/01/19/riforma-scolastica-in-kenya/).
Non è tutto. Sempre grazie allo studio condotto esclusivamente da donne, che hanno potuto perfezionarsi anche all’estero nei percorsi di dottorato, si è avviato un autorevole progetto di restauro della barriera corallina. Tre anni fa, la barriera corallina, che si trova lungo le coste del Kenya, è stata quasi completamente distrutta (si parla del 60-90% di corallo perso). L’aumento della temperatura del mare, in superficie, aveva scatenato devastanti episodi di sbiancamento dei coralli (per la quarta volta in meno di due decenni) e, come conseguenza di questa situazione, era stata registrata anche una pesante diminuzione della vita marina. La pesca eccessiva e irregolare aveva poi aggravato ulteriormente il problema. Il degrado della barriera corallina, e i suoi effetti sull’ecosistema marino, minacciavano seriamente la sussistenza delle comunità costiere dipendenti dall’economia del mare. A salvare (almeno in parte) la situazione ci ha pensato un progetto di restauro portato avanti da un gruppetto di donne su una piccola isola al largo della costa sud-orientale del Kenya. Queste biologhe sono state finanziate dalla Banca Mondiale e dal Global Environment Facility (GEF).
Sempre riguardo alle donne, va menzionata un’iniziativa di queste settimane, che ha avuto anche come protagonista il governo italiano. È stato firmato infatti un accordo fra Italia e UNWomen, l’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile, al fine di attuare, proprio in Kenya, la terza fase di un progetto volto a tutelare le ragazze durante la tornata elettorale (quella del 9 agosto), una fase in cui, nel Paese dell’Africa orientale, aumentano gli stupri. L’intesa, precisa un comunicato, è stata sottoscritta dall’Ambasciatore d’Italia in Kenya, Alberto Pieri, e dal Direttore regionale «Donne» per l’Africa Orientale e Meridionale dell’Onu, Maxime Houinato, avviando la terza fase di «Non lasciamo che succeda di nuovo». Il progetto, nel complesso, vale oltre un milione di dollari.
Intanto, in questo scenario, i bambini e le bambine attendono Rashid e il suo cammello «bibliotecario», nato da un’idea fortemente sostenuta dalla donne di Umoja. In un territorio in cui l’85% della popolazione adulta è analfabeta, Rashid contribuisce a diffondere la cultura di base, con i suoi cammelli che trasportano due bauli contenenti oltre 400 tomi: «Ogni bambino può chiedere in prestito un paio di libri per due settimane: quando avrà finito di leggerli dovrà restituirli e potrà richiederne altri; distribuiamo gratuitamente volumi illustrati, favole, storie per ragazzi, ma anche grammatiche e libri scolastici. Tutti i volumi sono appositamente selezionati per le comunità di nomadi, con l’obiettivo di invogliare i bambini e le loro madri alla lettura». Un giorno Rashid è arrivato nell’orfanotrofio di Kakamega, portando con sé 24 libretti di Calvino, tradotti in parte da Ngugi Wa Thiong’o, anche direttore della rivista Mutiiri (e più volte candidato al Nobel). È stata una festa da quelle parti! Proprio come la serata della poesia di Umoja.
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