Alias Domenica

Julio Cortázar, intarsi di un situazionista

Luis Seoane Lopez, «Retablo», 1970Luis Seoane Lopez, «Retablo», 1970

Novecento argentino Con il «Libro di Manuel», edito nel cruciale 1973, Julio Cortázar tentava di conciliare la sua vena sperimentale con la chiamata all’impegno, intrecciando le vicende di un gruppo di argentini e cileni esiliati a Parigi: da Sur, mai tradotto finora

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 2 giugno 2024

L’influenza di Julio Cortázar, a quarant’anni dalla sua scomparsa, sembrerebbe risiedere ancora, come scriveva negli anni Ottanta il critico Nicolás Rosa, in un certo tipo di sensibilità, più che in una vera e propria pratica di scrittura: in un certo «sentimento» dello stare al mondo (quel «non esserci del tutto») che invita all’esercizio di uno sguardo irriverente e dislocato, rivolto alla scoperta delle meraviglie che si offrono a chi scruti negli interstizi. La letteratura sarebbe una sorta di iniziazione ciò che di più autentico e segreto palpita oltre la superficie del visibile, tramite una sperimentazione estetica che installa al proprio centro la meditazione sul linguaggio e sul suo potere trasformativo. I lasciti della lezione patafisica e surrealista risuonano in tutta l’opera dell’autore del Gioco del mondo – romanzo che incantò generazioni di lettori complici – mentre esortano a demolire la Grande Abitudine, ovvero a non accontentarsi di ciò che è già dato, delle forme convenzionali. Questo stesso slancio, ludico e vitalista, percorre  il Libro di Manuel, finora inedito in italiano (nella coraggiosa traduzione di Ilide Carmignani, Sur, pp.449, € 22,00), il romanzo forse più discusso (e cerebrale) di Cortázar, che quando uscì, nel 1973, fu oggetto di critiche contrastanti, alimentate anche dalle polemiche che avevano coinvolto lo scrittore negli anni precedenti, in particolare quella con il colombiano Oscar Collazos, che lo accusò di non contribuire al processo rivoluzionario latinoamericano, dedicandosi unicamente alla sperimentazione avanguardista e alla ricerca estetica.

Il  Libro di Manuel è la risposta: la rivoluzione procede anche a colpi di letteratura, tentando di far convergere realtà storica – pressante ai confini del testo – e sperimentalismo formale. Eros e umorismo, pilastri dell’universo poetico cortazariano, si fanno strumenti per la costruzione dell’ «uomo nuovo», alla Guevara, e affiancano la denuncia e la testimonianza dei crimini di Stato che si consumavano negli anni in cui il libro venne scritto, tra il 1969 e il 1972. Cortázar è consapevole del rischio: «i sostenitori della realtà in letteratura lo troveranno abbastanza fantastico, mentre quelli arroccati sulla letteratura di finzione deploreranno il suo deliberato cotubernio con la storia dei nostri giorni», scrisse.

Protagonisti, un gruppo di sudamericani – argentini e cileni – esiliati a Parigi, che si muovono secondo quattro linee narrative principali: la raccolta di ritagli di giornale sulla repressione politica in America Latina, che Patricio e Susana intendono lasciare al loro bambino, Manuel, come testimonianza dei loro anni convulsi; la tormentata storia d’amore di Andrés con Ludmilla e Francine; la vita del «piccolo rabbino» Lonstein, masturbatore appassionato, coltivatore di funghi e impiegato presso un obitorio dove lava cadaveri; le strampalate attività rivoluzionare di un gruppo sovversivo franco-latinoamericano, soprannominato il Grancasino, che culminano con il sequestro di un importante diplomatico e la battaglia campale in casa sua (amara parodia degli insuccessi dei «veri» gruppi rivoluzionari latinoamericani).

Ma la trama non prevale mai sulla ricercatezza della struttura, che contempla molteplici narratori e conseguenti punti di vista, tanto che il romanzo si presta a venire letto come un’attualizzazione del Gioco del mondo: ne riprende una certa atmosfera intellettuale, la predilezione per la dialettica, un certo gusto per lo scardinamento delle convenzioni borghesi, che qui si realizza in micro-agitazioni situazioniste nei ristoranti o nei cinema. La continuità con Il gioco del mondo si dà infine nell’inventività linguistica, nella varietà di registri, nei neologismi, nei giochi di parole con cui Cortázar ambisce a trasformare il linguaggio in strumento di emancipazione: un progetto non del tutto compiuto, forse, e di certo una sfida per la traduttrice, come lei stessa racconta accuratamente nella bella post-fazione.

A distanza di cinquant’anni dalla pubblicazione, probabilmente anche a causa dei suoi riferimenti a una contingenza che non è più quella, il Libro de Manuel sembra tuttavia avere perso attualità, pur restando un tassello importante della produzione di Cortazar, nonché una lettura opportuna a  chi voglia immergersi nelle tensioni, nei conflitti e nelle speranze di un momento apicale del Novecento latinoamericano.

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