Europa

Jean-Baptiste Del Amo: «Una società a due velocità, così la République non può continuare»

Jean-Baptiste Del Amo: «Una società a due velocità, così la République non può continuare»Jean-Baptiste Del Amo

L'intervista Lo scrittore francese, che ha partecipato al Festival Letterature a Roma, parla della situazione nelle banlieue. «Ci sono due tipi di giustizia, di polizia, di scuola. Negli scontri sono coinvolti giovani poco più che ragazzini che vivono un sentimento di collera e di rottura con il resto del Paese»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 4 luglio 2023

Lo scrittore di Tolosa Jean-Baptiste Del Amo, 42 anni, è tra le voci più significative della narrativa francese delle ultime stagioni. Autore di nove romanzi, con Un’educazione libertina (Neri Pozza) ha vinto nel 2008 il Goncourt per gli esordienti. Sempre per Neri Pozza sono usciti nel nostro Paese anche Regno animale e Il figlio dell’uomo. Tra i protagonisti della sue storie ci sono spesso giovani uomini che fanno i conti con la violenza che respirano nella società come in famiglia. Ospite della XXII edizione del Festival Letterature, che si è aperto ieri sera allo Stadio Palatino di Roma, Del Amo ha letto un testo inedito intitolato «Cuori pulsanti».

Qual è il suo stato d’animo di fronte a quello che sta accadendo nel suo Paese?
Considero deplorevole quanto sta avvenendo e spero che si concluda rapidamente. Ma credo sia fondamentale interrogarsi su quali siano le ragioni che stanno alla base di questa esplosione di violenza. I giovani coinvolti sono poco più che ragazzini di 15, 16 o 17 anni, sono nati in Francia, hanno spesso lasciato la scuola e vivono in quartieri di periferia dove si percepisce un senso di abbandono da parte delle istituzioni. È da molti anni che i sindaci dei comuni di banlieue chiedono che il governo vari un piano d’urgenza per far fronte ai problemi di tali zone, ma senza che siano mai stati ascoltati. Inoltre si deve ricordare che già dal 2003 Sarkozy iniziò a mettere da parte la «polizia di prossimità» che operava in questi quartieri quotidianamente a contatto con la popolazione e svolgendo anche un ruolo «sociale». E oggi i giovani delle banlieue devono misurarsi invece ogni giorno con agenti pronti a sparargli a bruciapelo. Tutti questi elementi contribuiscono ad alimentare un profondo sentimento di collera e di rottura con il resto della società francese e con la République stessa.

Perciò, cosa ci dice della Francia di oggi il fatto che a partecipare agli émeutes siano spesso dei ragazzini?
Ci dice che la nostra è ormai diventata una società a due velocità: ci sono due tipi di giustizia, due tipi di polizia, due sistemi scolastici. E che, così, le cose non possono più funzionare. A subire le conseguenze di tale situazione sono prima di tutto questi ragazzi, nei quali cresce un senso di disperazione sempre più forte.

Allo stesso tempo, la colletta in favore della famiglia dell’agente che ha sparato a bruciapelo a Nahel (17 anni) a Nanterre (la tragedia alla base degli scontri di questi giorni) ha già superato il milione di euro: come è possibile? E c’è da credere che in questo caso non si tratti di adolescenti…
Credo che questa vicenda indichi fino a che punto la società francese ha paura e come una parte dei media rischino di manipolare l’opinione pubblica in tal senso. Subito dopo la morte di Nahel sono apparsi degli articoli che spiegavano come si trattasse di un giovane dalla fedina penale particolarmente grave e che perciò gli agenti non avevano sbagliato. Per questo penso che le persone siano in qualche modo spinte ad avere paura e che i governi – accadeva già con Sarkozy ma continua ancora oggi con Macron- sfruttino questo sentimento per intercettare gli elettori di Marine Le Pen parlando costantemente di sicurezza, immigrazione, violenza, alimentando la diffidenza reciproca e i timori in seno alla società.

Da dove iniziare per fermare questa escalation?
Come dicevo, si deve rimettere in campo una «polizia di quartiere» che non svolga solo mansioni repressive e che lavori in contatto con la popolazione. Poi va restituito spazio e ruolo agli operatori sociali che operano in queste realtà e alle numerosissime reti associative che sono presenti. Nelle banlieue vive una grande varietà di persone, ricca di molte culture e che esprime un mondo associativo articolato che è alla base di proposte e progetti che la politica francese oggi ignora o ostacola. Perciò, si deve riportare la situazione alla calma, ma per farlo bisogna far capire a questi ragazzi che possono avere il loro posto, al pari di chiunque altro, in seno alla République.

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