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Jacqueline Keeler, il lungo sentiero delle tribù

Jacqueline Keeler, il lungo sentiero delle tribù

Intervista Il nuovo movimento dei nativi americani raccontato da un'attivista e giornalista, anche alla luce della recente visita del papa in Canada

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 30 luglio 2022
Luca CeladaLOS ANGELES

Storico e inedito, il viaggio penitenziale di Papa Francesco tra gli indigeni del Canada dopo le rivelazioni della strage di innocenti nei collegi tribali cattolici, ha suscitato forti e contrastanti emozioni nelle comunità native. Alla vittoria morale si è accompagnato il dolore per le ferite riaperte di ataviche ingiustizie. E un rinnovato dibattito su sottomissione e decolonizzazione. «Il soggiogamento non è stato l’eccezione ma l’obbiettivo cui sono state strumentali anche le residential schools per bambini nativi. Non si è trattato di mele marce ma di un preciso disegno per privare i nostri bambini di ogni senso si sé».

Jacqueline Keeler, giornalista, autrice e attivista nativa americana, commenta così gli orrori venuti alla luce lo scorso anno col rinvenimento di fosse comune e cimiteri segreti per migliaia di bambini, le vittime potrebbero essere decine di migliaia. Anche se difficilmente si potrà sapere tutta la verità si tratta chiaramente di alcune delle pagine più feroci della colonizzazione dei popoli Nativi del nord America. Le torture e l’eliminazione di inermi bambini sottratti alle proprie famiglie nei collegi cattolici rappresentano un capitolo talmente efferato da aver indotto il Papa a «chiedere umilmente perdono per il male perpetrato da così tanti cristiani» e per la legittimazione da parte della chiesa «della mentalità colonizzatrice che ha oppresso le genti native.» Le scuole religiose tribali hanno rappresentato dunque uno strumento di forzata assimilazione, di un genocidio culturale sistematicamente implementato a completamento dello sterminio della conquista.

Di padre Sioux (Ihanktonwan Dakota) e madre Navajo (Diné), Keeler è sposata con un membro delle Sei Tribù Iroquois dell’Ontario in Canada e nipote del reverendo Charles Cook, il pastore Sioux che nel 1890 fu fra i primi a soccorrere le vittime del massacro di Wounded Knee. È stata promotrice di recenti lotte per abolire i nomi e le mascotte «pellerossa» di squadre americane come i Cleveland Indians (ora Guardians) e i Washington Redskins (ora Commanders). Collaboratrice di numerose testate è autrice di Standoff in cui mette confronto la protesta Sioux contro l’oleodotto Dakota Access a Standing Rock, e l’occupazione di un parco naturale in Oregon da parte di milizie facenti capo ad una famiglia di allevatori ribelli del Nevada, il clan Bundy. Nel libro emergono sostanzialmente invariate le dinamiche di sovranità e suprematismo che caratterizzarono nel continente nordamericano lo scontro originale fra colonizzatori e Indiani. Le macabre scoperte nei collegi cattolici canadesi hanno avuto paralleli anche Australia, Nuova Zelanda e ovviamente negli Stati Uniti dove Keeler cita simili casi di abusi in istituti religiosi di numerose riserve.

Per il movimento nativo lo scandalo e il viaggio del Papa sono state occasioni per riprendere un discorso sul colonialismo. «Per noi», precisa Keeler, «la lotta ha ripreso attualità col movimento contro i monumenti razzisti promosso da Black Lives Matter. È stata la loro critica a dare nuovo impulso al movimento anti coloniale, proprio come negli anni 70 le Pantere Nere diedero l’impulso all’American Indian Movement (AIM).

In questa analisi le responsabilità della chiesa hanno un rilievo di primo piano, al contempo storico e molto attuale, collegato alle bolle pontificie che fra il 1435 e il 1493 sancirono il sacro diritto dei re cattolici a sottomettere i pagani del nuovo mondo. Una storia antica ma che per le comunità native mantiene una cruciale attualità per un argomento che visto dalle riserve è tutt’altro che accademico.

Quale è stata la reazione verso il viaggio del Papa?

Credo che la sua penitenza ed il suo viaggio qui nel nuovo mondo sia stato un fatto certamente singolare …Non posso pensare ad un altro papa che avrebbe fatto lo stesso. Allo stesso tempo credo che i problemi siano strutturali, insiti nelle strutture coloniali di potere e nell’ingiustizia che esprimono. Anche se la chiesa non è più così direttamente coinvolta negli istituti tribali di istruzione, il Vaticano rimane pur sempre un centro di potere al pari delle potenze coloniali. A molti di noi sembra che il problema non sarà davvero risolto finché non vi sarà un profondo cambiamento nei rapporti fra colonizzatori e le nazioni indigene le cui terre sono tuttora occupate.

Il Papa ha comunque proferito parole di vera contrizione…

Si ma allora perché non intraprendere anche qualche passo concreto, finanziare magari strumenti e strutture per il recupero delle vittime e delle loro famiglie?

Sono avvenute tragedie indicibili e le conseguenze sono evidenti ancora oggi sulle riserve: traumi tramandati, violenze famigliari, abuso sessuale, abuso di droga…

È stato da fatto un danno enorme….multi generazione. Ricordo quando intervistavo i miei zii e nonni. Mi spiegavano che in Lakota la parola per moglie era «donna sacra». E gli chiedevo come fosse possibile allora che oggi siano tali i livelli di abuso e violenza famigliare? E mi dicevano che i nostri ragazzi hanno imparato quei modi nei collegi. Perpetuano le violenze – fisiche, sessuali, psicologiche – ricevute in quei luoghi, con lo strascico di alcolismo e oggi endemica assuefazione al meth. Il furto della tua lingua poi, a quella tenera età, ha generato ulteriore trauma e vergogna. La perdita rappresentata da quella cultura interrotta è davvero impossibile da quantificare – irreparabile.

Il Papa è stato anche contestato?

Qualcuno gli ha gridato di denunciare la «dottrina della scoperta» (l’autorizzazione concessa dai papi di appropriarsi dei territori «scoperti» per grazia divina, ndr). Il cugino di mio padre è stato in Vaticano nel 2015 e gli avvocati pontifici gli hanno spiegato che le bolle pontificie emesse nel 500 sulla dottrina della scoperta non sono più considerate in vigore. Qui però negli Stati Uniti e Canada, quelle dottrine purtroppo costituiscono ancora il fondamento giuridico per leggi e sentenze contro di noi. La base per decisioni che ribadiscono che non abbiamo titolo alle nostre stesse terre, che da questo punto di vista siamo al pari di animali. In USA, Canada, Sudamerica… le nazioni coloniali negano ancora la nostra umanità. E questo non avveniva solo nell’800 quando era applicato il concetto di terra nullius per cui la proprietà poteva venire riconosciuta solo a cristiani, e se era abitata da nativi veniva considerata terra di nessuno. La dottrina ha applicazioni anche recentissime, come quando è stata invocata, nel 2005, dalla Corte Suprema in una sentenza che ha negato alla Nazione Oneida sovranità che reclamava sulle proprie terre ancestrali. Una dottrina legale che discende in linea diretta dalla legittimità riservata alla «scoperta» da parte di nazioni cristiane europee, santificate dalla chiesa.

Cosa rivendicate?

Per cominciare i colonizzatori dovrebbero riconoscere di essere potenze coloniali, che stanno tuttora occupando terre di altre nazioni. Mi accade spesso di cercare di spiegare questo concetto a un pubblico americano e vedo che fanno un grande sforzo per capirlo. Come Americani viene insegnato loro che questa e la «tua terra,» la terra dei liberi, patria dei valorosi, roba tua – e invece no non è così, fate parte di una forza di occupazione.
Noi avremmo titolo alle terre che ci vennero assegnate dai trattati sottoscritti col governo degli Stati Uniti e mai mantenuti. Se venissero rispettati quegli accordi avremmo diritto a grandi porzioni di alcuni stati, a cominciare dai ¾ dei Dakota ad esempio – abbiamo diritto a quella sovranità e quel autogoverno. Invece a tutt’oggi l’opposizione americana e canadese ci impedisce ad esempio di sedere nelle Nazioni Unite.
Voglio dire che fin quando non verrà riequilibrata questa posizione i nostri figli rimarranno vulnerabili. La decolonizzazione non consiste semplicemente nel riconoscere gli errori compiuti 100 o 200 anni fa, ma volerli rimediare.
Per questo va fondamentalmente riconfigurato il rapporto di potere fra le due parti. Quanto al Papa, dato il peso storico che nella colonizzazione ha avuto la chiesa, personalmente mi piacerebbe vedere una nuova bolla che proponga il riconoscimento delle giurisdizioni che rivendichiamo.
Non so se questo o un altro Papa lo farà mai – ma credo che sarebbe questa leadership necessaria. E ci piacerebbe vedere le scuse anche della regina Elisabetta – per gli abusi e per la conquista.

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