Economia

Iva e clausole di salvaguardia, sforzi (inutili) per disinnescarle

Iva e clausole di salvaguardia, sforzi (inutili) per disinnescarleIl ministro dell'Economia uscente Pier Carlo Padoan

Costi & Benefici Per evitare l’aumento dal 10 all’13 per cento e dal 22 al 25 per cento servono 31 miliardi in due anni. L’aggravio medio fra beni e servizi per una famiglia sarebbe di 317 euro l’anno

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 27 marzo 2018

Bozze o non bozze, il Documento di economia e finanza rimane il primo documento importante della nuova legislatura. E ogni numero o virgola assume un valore particolare. Entro la fine di aprile il Def deve essere approvato a maggioranza assoluta dalle due camenre ed inviato a Bruxelles. La commissione sa benissimo che per quella data nessun nuovo governo sarà in carica e si è già accordata col ministro uscente Pier Carlo Padoan per un documento «tecnico» senza alcuna indicazioni di nuove politiche.
Ieri per qualche ora l’agenzia Ansa ha però anticipato i contenuti di una «bozza» – degna della propaganda renziana con sottolineati i mirabolanti risultati su lotta all’evasione e alla povertà – che conteneva una indicazione equivoca: l’aumento dell’Iva dal 2019.
Apriti cielo. Il ministero ha dovuto subito correre ai ripari con un comunicato che smentisce come «sia pronta una bozza del Documento di Economia e Finanza (Def)». «L’unica bozza circolata tra i ministeri», precisa il ministero dell’Economia e delle finanze, «è un documento parziale ad uso interno che, come richiesto dalla normativa italiana ed europea, fa il punto sull’attuazione delle riforme già varate e su come esse si rapportino alle raccomandazioni del Consiglio Europeo. In tale documentazione non si accenna a possibili ed eventuali indicazioni per gli anni futuri». Insomma, come precisò Padoan all’ultima riunione europea dei ministri economici (Ecofin) del 12 marzo è un Def «che lavora al quadro tendenziale e comprende gli aggiornamenti in base alle variabili esogene dell’economia mondiale e alle nuove proiezioni del pil della finanza pubblica definite in base a questo quadro».
Il pateracchio è dovuto ad un semplice assioma: senza una manovra che riempia le salvaguardie previste anche nell’ultima legge di bilancio, dal 2019 l’aumento dell’Iva scatterà automaticamente.
Le clausole di salvaguardia sono una spada di Damocle che i governi di qualsiasi colore in Italia si portano dietro dal 2011. Inaugurate da Tremonti nel 2011 (manovra correttiva del governo Berlusconi) sono state sempre confermate: da Monti passando per Letta per arrivare a Renzi e Gentiloni. Si tratta di un artifizio contabile per garantire coperture finanziarie per spese pubbliche già impegnate.
In ogni manovra le clausole erano sostitutive di gettiti promessi sempre tramite la mitica Spending review: ogni governo si era impegnato a trovare miliardi e miliardi tagliando la spesa pubblica inefficiente. Nessuno c’è riuscito e quindi le salvaguardie si sono trascinate di anno in anno. Ora sono quantificate in 31,5 miliardi da reperire nei prossimi due anni.
Diversamente le aliquote Iva aumenteranno: quella del 10 per cento (beni alimentari, energia) all’11,5 per cento nel 2019 e al 13 nel 2020; quella del 22 per cento passerà invece al 24,2 per cento nel 2019 e al 25 per cento nel 2021. Il Sole24Ore ha calcolato che per il solo 2019 l’aggravio sulle famiglie sarà in media di 317 euro.
Una cifra non elevatissima rispetto ad esempio al – mai calcolato – costo sociale del taglio dei servizi che i provvedimenti di riduzione di spesa pubblica hanno recato agli italiani in questi lunghi anni di crisi.
Ma i governi finora non se la sono sentita di far scattare gli aumenti dell’Iva rilanciando la trita e ritrita esortazione «a non incidere sui consumi degli italiani».
Vedremo se il prossimo governo avrà cambiato idea. Anche perché il fardello dei 31 miliardi di salvaguardie rende praticamente impossibile – senza sforare il tetto del 3 per cento fra deficit e Pil imposto dall’Europa – finanziare le tante promesse elettorali: flat tax del centro-destra, (simil) reddito di cittadinanza per il M5s, mance varie promesse dal Pd.
I custodi dell’austerità in Europa però si sono già mossi per lanciare chiari messaggi al futuro governo, qualunque esso sia. Per loro niente deve cambiare e dunque in pratica sono già state chieste addirittura nuove riforme per mettere i conti in sicurezza. Compresi interventi sulle pensioni per evitare che il peso dell’invecchiamento della società si faccia sentire sui debiti sovrani.

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