Andare in giro per l’Italia (tanto più per una come me che, essendo stravecchia, finisce per frequentare tutte le organizzazioni della sinistra, Arci, Anpi, Sinistra Italiana, Cgil, ecc) a fare assemblee stanca, ma è anche molto, molto bello. Io per esempio, ho scoperto che il Manifesto – che non era solo un giornale ma a lungo fu anche un partito, il Pdup – vale a dire un’area importante di militanti – era in effetti un’organizzazione di massa! Se non fosse stato così non mi capiterebbe oggi di incontrare tanti coi quali mi riconosco sempre e subito per cultura politica e che poi mi dicono: «io ero nel Manifesto-Pdup». Li ritrovo ancora politicamente attivi, anche se, spesso, non in un partito, ma in qualche organizzazione della società civile. E per ora va bene così.

L’ALTRO GIORNO MI SONO trovata a Muro Leccese, un paesone di 5.000 abitanti non lontano da Lecce (per altro bellissimo per i suoi palazzi e le sue chiese) a tenere un’affollata assemblea dell’Arci, assieme a Ferdinando Boero, biologo marino dell’Università Federico II di Napoli e membro della nostra Task Force “Natura e Lavoro” (forse conoscete la rubrica che gestiamo sul manifesto on line, che si chiama Attenti ai dinosauri). Alla fine, dopo il dibattito di rito, mi vengono incontro due compagni che a me sembrano molto vecchi, e invece scopro poi che sono parecchio più giovani di me. Hanno le lacrime agli occhi per la commozione, e per la nostalgia fin dall’inizio.

SONO STATI IL GRUPPO del Manifesto fin dalle origini e, mi dicono con orgoglio, diffondevano, prima 4 copie del giornale , poi raggiunsero le 5. Avevano – mi raccontano – 15 anni e, successivamente – organizzarono persino un comizio sulla piazza del paese nella quale parlai proprio io. Non me lo ricordavo più, ma mi sono commossa anche io: dei ragazzi di 15 anni che vendono regolarmente ben 5 copie del Manifesto in un paesino come Muro Leccese, oggi colpisce. (Non ho avuto il coraggio di chiedergli quante copie si vendono ora, ma nel paese non ho visto neppure un’edicola ormai). Ci siamo fotografati insieme, qui c’è l’immagine.

BELLA ANCHE l’assemblea, sempre organizzata dall’Arci, tenuta a Lecce al mattino, presenti le classi di due licei cittadini. Anomala:perché fra gli studenti c’erano tre ragazze afghane arrivate in Italia nell’agosto scorso. Una di loro, con i capelli tinti di verde smeraldo, in un italiano ancora stentato, ci ha raccontato della loro fuga, sostenute dalla famiglia che hanno voluto metterle in salvo, via Pakistan e Iran. I capelli se li è tinti per celebrare la libertà conquistata.

E però in braccio teneva un gatto, da cui, mi hanno detto i suoi compagni di classe, non si separa mai. Un gatto afgano, dal pelo lunghissimo tipico della loro razza. Se lo è portato da Kabul «per non soffrire troppo di nostalgia» – ci ha detto. Le altre due, prive di gatti, non sono riuscite nemmeno a parlare, piangevano, assalite dalla tristezza dei ricordi.

Nelle classi che partecipavano alla nostra assemblea, oltre alle tre afgane, c’erano anche 7-8 studenti neri. Ci hanno raccontato anche la loro storia e alla fine tutti ci hanno mostrato un pannello dipinto per spiegare la loro visione del mondo. Fra un evento e l’altro, una colazione pantagruelica in una fattoria, gestita da due compagne, una – naturalmente – era stata nel Manifesto delle origini.

DA 15 ANNI SONO venute a San Cartaldo, a pochi metri del leccese, e si sono impegnate nell’agricoltura biologica: immensi prati dove scorrazzano pavoni e galline, papere, oche, cigni, insomma tutti gli uccelli possibili. E tutti liberi. Accanto, altrettanto liberi, i cavalli e i conigli. Loro, oltre occuparsi di tutte queste bestie e di cercare con nuovi innesti di salvare gli uliveti assaliti dalla xilella, gestiscono anche un circolo Arci nella zona chiamato Alveare.

INFINE: APPENA TORNATA da Lecce sono andata a Bracciano, qui assemblea organizzata dall’Anpi. Ma un’Anpi speciale: presidente un giovane di 24 anni, età analoga se non meno, nel comitato direttivo. So che non si tratta di un caso unico ormai, ma è bello parlare della Resistenza e della guerra attuale con dei ragazzi che per ora- e speriamo mai – l’hanno vissuta in prima persona. E con i quali comunque si finisce sempre per discutere del che fare oggi, cosa vuol dire sinistra, democrazia, politica.

ANCHE A BRACCIANO, in prima fila, un ex nostro compagno, del collettivo di medicina del ’68, quello il cui leader era Famiano Crucianelli, che li portò quasi tutti con noi. Quel gruppo fu quello che sperimentò fra i primissimi l’iniziativa, assieme agli operai delle fabbriche e fabbrichette della zona Tiburtina, la lotta per la salute sul lavoro. Allora ai primi passi.

DIRETE CHE SONO retoricamente troppo ottimista con queste cronache. No, non voglio nascondere il disorientamento, la fatica della loro vita precaria. Ma più giro, più da qualche tempo trovo più curiosità e voglia di fare.