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Italia, Francia e Spagna: «Attacchi ingiustificabili»

Italia, Francia e Spagna: «Attacchi ingiustificabili»Il ministro Crosetto alla conferenza stampa di giovedì sulla situazione in Libano – LaPresse/Mauro Scrobogna

Medio Oriente Macron: «Non tollereremo altri attacchi ai caschi blu». Ma il governo Meloni se la prende anche con Guterres

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 12 ottobre 2024

Il secondo attacco israeliano contro le postazioni Unifil scatena le reazioni del mondo intero e in particolare dell’Europa. Italia, Spagna e Francia stilano una dichiarazione comune in cui condannano gli attacchi, che «costituiscono una grave violazione degli obblighi di Israele, sono ingiustificabili e devono cessare immediatamente». I leader dei tre Paesi affermano di «contare su Israele per la sicurezza delle missioni» ma insistono nel reclamare dallo Stato ebraico «il cessate il fuoco immediato».

La dichiarazione congiunta arriva al termine di una giornata segnata dalla condanna unanime di Israele che stavolta, a differenza del giorno precedente, non rivendica. Si giustifica affermando che i militari Unifil «sono stati feriti inavvertitamente durante i combattimenti», e promette che farà il possibile «per ridurre al minimo i danni ai civili e alle forze di pace». L’ambasciatore israeliano era stato convocato nel pomeriggio dal ministro degli Esteri francese. Macron, al termine del Med9 di Cipro, chiede a tutti di sospendere la vendita di armi a Israele. Poi affonda la lama: «Non tolleriamo e non tollereremo nuovi attacchi a Unifil». La dichiarazione finale, a Cipro, spetta a Giorgia Meloni. Racconta che la discussione del Med9 è stata proprio centrata sugli obiettivi del cessate il fuoco in Libano e a Gaza, della liberazione degli ostaggi israeliani e dell’assistenza alle popolazioni.

Sugli attacchi Meloni è severa ma sobria: «Non posso non condannarli. Non è accettabile. Il governo italiano ha protestato con decisione». Premier e ministri interessati si sono un po’ divisi le parti. Tajani è più diplomatico, dice di aspettarsi «le scuse di Israele», scrive al presidente israeliano Herzog e al ministro degli Esteri Katz definendo «totalmente inaccettabili» le aggressioni. Ma aggiunge: «Crediamo che il vostro governo prenderà ogni misura necessaria per evitare ogni possibilità di nuovi attacchi». Il ruolo del duro se lo assume il ministro della Difesa Crosetto. Telefona all’omologo israeliano Gallant, un amico, e pone «una domanda provocatoria»: «Cosa facciamo la prossima volta? Rispondiamo al fuoco?».

Con i giornalisti, nel corso della visita in Kosovo, rincara ulteriormente: «Non saremo mai noi a spostarci perché qualcuno ci chiede con la forza di farlo. Siamo lì e ci rimaniamo. L’Italia non prende ordini da nessuno. Da Israele pretendo il rispetto dovuto a una nazione amica impegnata in una missione di pace». Qualche ora dopo il ministro chiamerà per ringraziarla la presidente delle Comunità ebraica Noemi Di Segni, che in una nota aveva espresso «assoluta vicinanza alla missione italiana».

L’irritazione del governo tutto e del ministro della Difesa in particolare è sincera. Però è solo la metà del quadro, quella confessabile. Nell’altra metà campeggia la telefonata durissima, forse anche più del colloquio con l’ambasciatore israeliano, tra lo stesso Crosetto e il capo delle forze di pace Onu Jean-Pierre Lacroix. In quella stessa metà nascosta figura l’irritazione dell’Italia nei confronti del segretario dell’Onu Guterres. Qualcosa fa trapelare il ministro in conferenza stampa: «Da un anno e mezzo chiedo la modifica delle regole di ingaggio. Ho detto a tutti che se non si applica la 1701 prima o poi lo fa qualcun altro». La 1701 è la risoluzione sulla smilitarizzazione della zona tra il Litani e il confine con Israele. La missione Unifil avrebbe dovuto farla rispettare ma ha registrato un fallimento totale. Impossibile fare meglio con regole di ingaggio che vietano anche solo di fermare automezzi sospetti e obbliga a rivolgersi all’esercito o alla polizia libanesi.

La Conference Call convocata per la settimana prossima tra i Paesi più coinvolti nella missione serve, nelle intenzioni dell’Italia, proprio a fare massa e mettere le Nazioni unite alle strette con l’obiettivo di smobilitare la missione oppure di modificarla radicalmente, magari portandola dal peace-keeping al ben più risoluto peace-enforcing. Ma il bivio è più teorico che reale. Per riconvertire la missione ci vorrebbe una soluzione di continuità, un cessate il fuoco. Nessuno si illude che Israele sia disposto a concederlo.

Se l’Onu decidesse il ritiro, cosa a dir poco improbabile, il governo uscirebbe da una situazione difficile anche sul piano della politica interna. Le opposizioni chiedono e otterranno che il governo riferisca in aula. Elly Schlein denuncia «l’attacco gravissimo, crimine di guerra come a Gaza». Ma M5S e Avs vogliono scelte più drastiche, la fine della fornitura di tutte le armi, anche quelle consegnate sulla base di antichi contratti, e persino la rottura dei rapporti diplomatici. Meloni non intende muoversi in quella direzione. Ma neppure passare per leader debole e incapace di difendere i propri soldati.

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