Istat: 5 milioni in povertà assoluta. Bankitalia: «Non toccare le pensioni»
Le audizioni sul Def L'istituto di statistica e la banca centrale riferiscono davanti al nuovo Parlamento. Il disagio è in crescita. Il monito al prossimo governo sulla possibile cancellazione della legge Fornero. L'aumento dell'Iva potrebbe costare lo 0,1% di mancata crescita
Le audizioni sul Def L'istituto di statistica e la banca centrale riferiscono davanti al nuovo Parlamento. Il disagio è in crescita. Il monito al prossimo governo sulla possibile cancellazione della legge Fornero. L'aumento dell'Iva potrebbe costare lo 0,1% di mancata crescita
I cittadini italiani in povertà assoluta continuano ad aumentare – sono 5 milioni secondo l’ultima rilevazione Istat- e il prossimo governo, nella messa a punto del Def e della legge di Bilancio d’autunno, dovrà tenere d’occhio il debito – non toccando le pensioni e cercando nel contempo di evitare l’aumento dell’Iva. Le audizioni dell’Istituto di statistica e di Banca d’Italia presso il nuovo Parlamento sul Documento di economia e finanza lascerebbero pochi margini di manovra all’esecutivo che si formerà a breve, sia esso politico (Lega-M5S) o «neutrale», indicato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Di povertà e possibile aumento dell’Iva ha parlato l’Istat, mentre Bankitalia si è concentrata su gestione del debito pubblico e pensioni. Sono 5 milioni, come detto, gli italiani in povertà assoluta, quelli cioè che non riescono a far fronte a spese essenziali per il mantenimento di livelli di vita «minimamente accettabili». Il fenomeno ha raggiunto una soglia limite e il numero non fa che aumentare: nel 2017 si contano 261 mila individui in più in tali condizioni rispetto al 2016 e il confronto è ancora più implacabile guardando al periodo precedente la crisi economica. Oggi l’8,3% della popolazione italiana vive in difficoltà estrema, contro appena il 3,9% del 2008, anno di inizio della recessione.
Le famiglie in povertà assoluta sono 1,8 milioni, con un’incidenza del 6,9% sul totale dei nuclei, in crescita di sei decimi rispetto al 6,3% del 2016 – pari a 154 mila famiglie in più – e di quasi tre punti rispetto al 4% del 2008. L’aumento, spiega l’Istituto di statistica, dipende in parte dalla ripresa dell’inflazione verificatasi lo scorso anno, ma anche dal peggioramento della capacità di spesa di molte famiglie, concentrate soprattutto al Sud.
Amara anche la fotografia dell’occupazione: lo scorso anno erano 1,1 milioni le famiglie italiane in cui tutti i componenti in età da lavoro erano in cerca di un impiego, praticamente in 4 nuclei su 100 non si percepiva alcun reddito da lavoro. Dato ancora una volta sconcertante rispetto al 2008, quando nella stessa situazione si trovavano circa la metà delle famiglie rilevate oggi, cioè 535 mila. Anche in questo caso è il Sud la zona d’Italia dove il fenomeno è più grave: più della metà del milione misurato dall’Istat (il 56,1%) è infatti residente nel Mezzogiorno.
Bankitalia ha approfittato dell’audizione sul Def per lanciare il suo avvertimento: dare un «colpo secco e visibile» al debito, non toccare le pensioni e non mettere in discussione i risultati faticosamente ottenuti sui conti pubblici. Tema caldo, la previdenza, visto che come è noto tra i punti prioritari di un eventuale governo Lega-M5S ci sarebbe la cancellazione della legge Fornero.
Il vicedirettore generale di Via Nazionale, Luigi Federico Signorini, ricordando che il debito pubblico italiano è ancora molto elevato, inferiore nell’area euro solo a quello greco, ha spiegato che la sua sostenibilità poggia in larga misura sulle riforme pensionistiche introdotte negli ultimi decenni, «uno dei punti di forza della finanza pubblica italiana» che non va indebolito. Anche perché la crescita, fino al 2017 in accelerazione, potrebbe ora rallentare, scendere nel 2018 all’1,4% o forse anche più in basso. In questo scenario, se davvero si vuole sterilizzare gli aumenti dell’Iva, come espressamente indicato da tutte le forze politiche, bisogna farlo cercando entrate alternative o tagli di spesa, ha concluso Signorini, senza utilizzare la leva del deficit.
Le clausole di salvaguardia restano del resto un punto nodale per i prossimi mesi. Secondo Rete Imprese Italia, con gli aumenti dell’aliquota il rischio è di perdere 11,5 miliardi di Pil. Anche in base alle stime dell’Istat, non estinguerli peserebbe sul Pil del 2019 per lo 0,1% e sui consumi per lo 0,2%. L’Istituto di statistica teme peraltro già da quest’anno anche l’impatto amplificato sull’andamento dell’economia dei dazi statunitensi, pari al -0,3%, dovuto alla crisi dell’export soprattutto di auto, farmaci, prodotti chimici, oltre che dei più prevedibili mobili e alimentari.
Infine, ieri è stata pubblicata la stima del patrimonio immobiliare pubblico italiano: secondo i dati diffusi dal ministero dell’Economia, l’Italia dispone di 1 milione di immobili pubblici, per un totale di 325 milioni di metri quadri e un equivalente valore patrimoniale di 283 miliardi di euro. In gran parte sono occupati dalla pubblica amministrazione, per un valore di 51 miliardi sono affidati a privati (gratuitamente o dietro affitto), per 12 miliardi non sono utilizzati.
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