Ieri ringraziava Dio per averle dato, lo scorso aprile, la forza e il coraggio di «fare la cosa giusta» la deputata religiosa Idit Silman, le cui dimissioni sono state il primo chiodo nella bara del fragile governo di Naftali Bennett che lunedì ha gettato la spugna. Silman si fece da parte dopo aver appreso di una decisione dei giudici che permette l’ingresso del pane lievitato e non soltanto di quello azzimo negli ospedali durante la Pasqua ebraica. Uno scandalo per la deputata Silman che non esitò a fare la sua scelta. E se ne andò. Da allora deputati di ogni colore hanno annunciato le dimissioni per poi fare marcia indietro. Alla fine, Bennett e il suo partner politico, il ministro degli esteri Yair Lapid, hanno dovuto fare i conti con la realtà e muovere un passo indietro provando allo stesso tempo di impedire al loro nemico comune, l’ex premier Benyamin Netanyahu, di tentare di formare un governo e di non portare Israele alle urne a fine ottobre per la quinta volta in tre anni e mezzo. Conti con un’altra realtà, ben diversa, quella economica, li fanno in questi giorni anche al Rothschild Boulevard di Tel Aviv dove, come undici anni fa, sono spuntati gli accampamenti di tende degli israeliani che protestano per il costo delle case e per gli affitti tra i più alti al mondo. E non sono solo le case il problema. In Israele, per centinaia di migliaia di persone, i supermercati sono ormai delle gioiellerie.

Come neutralizzare le ambizioni di Netanyahu è la missione di tutti i suoi nemici, soprattutto i suoi rivali di destra. Già oggi Bennett proverà a sciogliere la Knesset per per impedire al capo del Likud di avere il tempo di trovare in parlamento i numeri per formare una nuova coalizione di destra. Il crollo della coalizione «è il risultato degli intrighi, le bugie e la sovversione di un solo uomo, Benyamin Netanyahu», ha protestato il ministro e leader del partito Yisrael Beitenu Avigdor Lieberman, persino più a destra di Netanyahu. Nell’ultimo anno anche Lieberman ha fatto parte dell’esecutivo Bennett-Lapid composto da otto partiti di ogni colore, incluso uno arabo, tenuti insieme da un unico principio comune: rimuovere dal potere Netanyahu.

Se la Knesset oggi avvierà il suo dissolvimento, il voto ad ottobre sarà certo. In ogni caso per Netanyahu trovare i voti per una nuova maggioranza non sarebbe semplice. Può contare su 55 deputati del suo Likud e dei partiti religiosi ultraortodossi. Per arrivare almeno a 61 seggi su 120 della Knesset dovrebbe convincere diversi parlamentari del governo uscente ad unirsi al suo progetto di una coalizione della destra unita. In particolare quelli di Yamina del premier Bennett, apparsi in questi mesi i più disposti a cambiare casacca. Non sono pochi, inoltre, i deputati che temono di non essere rieletti e non vogliono la fine della legislatura.

In attesa del voto il capo ad interim del governo sarà Yair Lapid che a metà luglio accoglierà il presidente Usa Joe Biden in visita in Israele. Nel 2023 Lapid avrebbe dovuto prendere il posto di Bennett. Ma un anno fa, alla nascita della coalizione anti-Netanyahu, nemmeno lui avrebbe scommesso sul passaggio di consegne. Sempre un anno fa, un altro leader politico, il dentista palestinese Mansour Abbas, sognava di essere protagonista della storia entrando nel governo. Capo del partito arabo islamista Raam, Abbas ha ricevuto da Bennett e Lapid promesse per miliardi di dollari da investire nello sviluppo dei centri abitati arabi in Israele. Ora in tasca ha trovato solo un pugno di mosche. In un anno ha ottenuto poco o nulla, pur avendo fedelmente sostenuto la maggioranza incurante delle cariche della polizia ai palestinesi sulla Spianata della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme e dei «tour» di attivisti della destra religiosa israeliana nel terzo luogo santo dell’Islam.

Festeggiano in queste ore i coloni israeliani insediati nella Cisgiordania palestinese. Non per la caduta del governo che comunque ha fatto ampiamente i loro interessi approvando progetti per migliaia di nuove case negli insediamenti coloniali. Celebrano perché lo scioglimento della Knesset rinnoverà automaticamente la legge che consente ai coloni nei Territori palestinesi occupati di essere sotto la giurisdizione dello Stato di Israele. È la doppia giustizia che vige in Cisgiordania: un colono è giudicato dalla legge civile israeliana mentre un palestinese che abita a poche decine di metri di distanza resta sotto la legge militare (dal 1967), con meno diritti e soggetto a discriminazioni.