Israele attacca in Siria: nove morti. Forse è una sfida a Putin
Medio oriente Si tratta del raid più letale dell'inizio dell'anno. Colpiti obiettivi alla periferia di Damasco. Intanto resta fermo il negoziato sul programma nucleare iraniano
Medio oriente Si tratta del raid più letale dell'inizio dell'anno. Colpiti obiettivi alla periferia di Damasco. Intanto resta fermo il negoziato sul programma nucleare iraniano
Il bilancio è pesante: nove morti e alcuni feriti. È stato l’attacco più letale lanciato da Israele, nella notte tra martedì e mercoledì, contro la Siria dall’inizio dell’anno. E può essere letto in due modi. Il governo Bennett ha reagito al peggioramento dei rapporti con Mosca – a causa del maggior appoggio, rispetto a due mesi fa, offerto da Israele all’Ucraina – sfidando Vladimir Putin che pure da anni consente i bombardamenti israeliani in Siria dove opera l’aviazione russa in appoggio alle forze armate siriane. Oppure le ultime tensioni tra Mosca e Tel Aviv non hanno avuto alcun impatto sulle relazioni tra i due paesi e Putin continua a garantire a Israele piena libertà di azione nei cieli siriani.
I media statali siriani hanno dato risalto al raid subito che ha preso di mira, con missili, obiettivi imprecisati alla periferia di Damasco. Non è chiaro se i missili siano stati sganciati da aerei o lanciati da rampe di terra. Il ministero della difesa siriano ha detto che sono partiti dal nord di Israele poco dopo la mezzanotte e che la maggior parte è stata abbattuta. Quelli andati a segno hanno causato danni materiali e diverse vittime. I media ufficiali parlano di nove morti, cinque soldati e quattro civili. Fonti locali aggiungono che il raid, su diversi sobborghi di Damasco, avrebbe preso di mira depositi di armi di milizie alleate dell’Iran. Nelle stesse ore l’esercito israeliano è entrato nel campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, dove, in uno scontro a fuoco, ha ucciso un diciottenne palestinese, Ahmed Massad.
Nessun commento da parte di Israele che ha lanciato centinaia raid in Siria contro, afferma, postazioni di combattenti legati all’Iran e spedizioni di armi dirette alle milizie filo-Tehran.
L’attacco missilistico dell’altra notte potrebbe essere stato un messaggio alla Repubblica islamica nel momento in cui i negoziati sul programma nucleare iraniano sono di nuovo fermi.
Appena due mesi fa, prima dell’offensiva russa contro l’Ucraina, le trattative a Vienna per il rilancio dell’accordo internazionale Jcpoa sembravano vicine al risultato sperato da tanti – ma non da Israele – con l’approvazione degli Stati uniti.
La guerra in Ucraina e il conseguente scontro duro tra Washington e Mosca – entrambe devono garantire il Jcpoa – hanno avuto un riflesso immediato sulle trattative in Austria. E nelle ultime settimane le parti coinvolte hanno posto nuove condizioni.
L’Iran si dice pronto a concludere i colloqui e accusa l’Amministrazione Biden di aver avanzato «richieste eccessive» per ritardare il rilancio dell’accordo. Gli Stati uniti affermano che Teheran vuole concessioni «oltre la portata del Jcpoa». Un riferimento alla richiesta iraniana di togliere i Guardiani della Rivoluzione iraniana dalla lista FTO statunitense delle organizzazioni terroristiche straniere. Una possibilità contro cui si batte Israele che ha chiesto aiuto ai suoi alleati negli Usa per fare pressioni sulla Casa Bianca. Biden, aggiunge Teheran, sarebbe riluttante a fare le concessioni necessarie perché teme di fornire munizioni agli avversari repubblicani in vista delle elezioni di medio termine a novembre.
Intanto ha destato clamore l’intervista in cui l’ex deputato Ali Motahari afferma che i dirigenti politici iraniani inizialmente intendevano «sviluppare una bomba atomica» ma furono fermati da una fatwa dell’ayatollah Khamenei che vieta lo sviluppo di armi nucleari. Smentisce tutto l’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran secondo la quale il programma nucleare iraniano «non è mai stato concepito per essere militarizzato».
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