Irmgard Keun, donne vincenti e perciò invise agli ispettori nazisti
August Wilhelm Dressler, «Ragazza sul letto», 1927-1928
Alias Domenica

Irmgard Keun, donne vincenti e perciò invise agli ispettori nazisti

Scrittrici tedesche Percorsi di vita accidentati quelli di Irmgard Keun, che ritrae nei suoi romanzi avventurieri e marginali, restituendo spaccati impietosi di una crisi epocale: «Non sono mai stata il mio tipo», raccolta di interviste e «Dialoghi al posto di un’autobiografia»: dall’Orma
Pubblicato 12 mesi faEdizione del 3 dicembre 2023

Pubblicata soprattutto perché «piaceva anche alla addetta alle pulizie», Irmgard Keun è – in realtà – una scrittrice immensa e dimenticata, che merita un posto di assoluto rilievo tra gli autori della Nuova oggettività. Lo aveva colto agli inizi della sua carriera Alfred Döblin: «Se solo scrivesse bene la metà di come parla, racconta e osserva, sarebbe la migliore scrittrice che la Germania abbia mai avuto».

Forse non la migliore in quella stagione affollata di geniali sperimentatori, ma sicuramente una grande romanziera, paragonabile nella sua diversità a Erich Kästner, Alfred Döblin o Hans Fallada: come loro guarda con sobrietà il mondo del proletariato e dei colletti bianchi, indugia nelle periferie restituendo in mite scioltezza problemi e atmosfere di una catastrofe annunciata. Sceglie una visione dal basso, quella di marginali, sognatori, disoccupati, avventurieri e, tra cappelli, pellicce, approcci balordi e fiumi di alcool, restituisce uno spaccato impietoso e coinvolto di una crisi epocale: «Il nostro è un tempo che logora – scrive già nel suo primo romanzo –. Un tempo in cui le brave persone soccombono e le donne prima degli uomini. Perché l’uomo ha la legge per tenersi saldo, ma quando tutte le leggi umane vanno a farsi benedire, allora non c’è più nessun appiglio, uno non se ne accorge nemmeno. E la prima cedere è la donna». Titolo della asmatica autobiografia di Keun, Questo numero non è raggiungibile è stata costruita su interviste un po’ sciatte, testimonianze carpite e sui frammenti di quella «confessione» che la scrittrice tedesca aveva annunciato e mai completato, se non per due paginette grottesche e inclementi: Autoritratto di una donna dalle pessime qualità.

Pubblicata in questi giorni da L’Orma con il titolo Non sono mai stata il mio tipo Dialoghi al posto di una autobiografia (a cura di Heinrich Detering e Beate Kennedy, traduzione di Eleonora Tomassini, pp. 185, € 14,00) questa raccolta di interviste lascia affiorare un «percorso di vita intenso e accidentato» (scriveva nel 2019 Lucia Perrone Capano, autrice dell’unica monografia italiana su Irmgard Keun) e tratti della fisionomia di una donna che oscillava, come i suoi personaggi, tra ribellioni, generosità e fughe nelle pieghe drammatiche della storia tedesca.

Sappiamo che era nata a Berlino nel 1905, fanciulla della buona borghesia protestante, e aveva vissuto a Colonia studiando dattilografia e arte drammatica e immaginando per il suo futuro lavori di donne che corteggiano l’emancipazione ma che, in realtà – scrive Christa Anita Brück in Destini dietro le macchine da scrivere del 1930 – non fanno che riprodurre parole di altri e per altri inseguendo il riscatto. Ma Irmgard Keun, come Doris, la protagonista di un suo testo sfrontato, non rinunciava mai a portare con sé un quaderno di appunti dove conservare frasi ed emozioni «senza padrone» e mettere ordine tra le esperienze.

A 21 anni – afferma civettuola, ma in realtà ne ha 25 – nel 1931, scrisse un primo romanzo, «il migliore di tutti i tempi»: è Gilgi, una di noi che vendette in pochi mesi 200000 copie e apparve a puntate su «Vorwärts», il giornale della socialdemocrazia tedesca; l’anno dopo pubblicò Doris, la ragazza misto seta (così la traduzione italiana di Das kunstseidene Mädchen), stampato in tirature ancora più vertiginose anche perché le sue protagoniste «giovani ragazze innamorate», avide di vita, ingenue e marginali ma vincenti, rappresentavano un esempio per lettrici in cerca di nuovi modelli di femminilità e di vita.

La sua stagione di successi si esaurì presto. I nazisti ormai al potere, bruciarono le sue pagine di sesso, ribellione e avventure, bollate come «letteratura dannosa e indesiderata» per la famiglia perfetta dell’epoca nuova.  Ridotta al silenzio, intimorita dalla Gestapo, iniziò una nuova vita abbandonando insieme al suo paese anche un marito «che andava dietro ai nazisti». Emigrò senza nostalgie a Ostenda accolta come «la regina dello champagne» da una comunità di esuli: «Hermann Kesten con il suo eterno sorriso, il predicatore Egon Erwin Kisch, l’orso Willi Münzenberg, il grande nuotatore Ernst Toller, lo stratega Arthur Koestler» (così almeno li descrive Volker Weidermann) e, tra loro, Stefan Zweig e Joseph Roth con cui la nuova arrivata ebbe una lunga relazione.

Al biografo di Roth, David Bronfen, Kuen racconta con leggerezza aneddoti svagati sui modi e le abitudini dello scrittore galiziano, celebrando a distanza un incontro di entusiasmi, manipolazione e fughe. Ammette quasi a malincuore di aver subito la sua influenza, ma mai letteraria (e tantomeno asburgica): «alcune sue parole hanno messo radici profonde nella mia anima. Su di me ha lasciato un’impronta tale che non ho mai sentito la necessità di leggere i suoi libri».

In realtà ad uno stesso tavolino, nacquero i romanzi del suo esilio: concluse Una bambina da non frequentare e Kully figlia di tutti i paesi, in cui l’emigrazione e la dissipazione sono visti con la ingenuità e la saccenza di una bambina e in cui un padre immaginario e l’amante reale finiscono per sovrapporsi. Nel 1937 pubblicò Dopo mezzanotte, la sua opera politicamente più impegnata, sicuramente uno dei testi più lucidi sulla nascita del regime e sul dilagante fascismo quotidiano.

La relazione con Roth finisce, troppo simile alla storia di Martin con Gilgi per non suggerire una manipolazione, il gruppo degli scrittori si disperde e Irmgard Keun iniziò lentamente a cancellarsi: terrorizzata dall’arrivo delle truppe tedesche decide di tornare in Germania protetta dalla notizia del suo suicidio insieme a Eckstein e Hasenklever, pubblicata dal «Daily mail».

L’annuncio è falso ma l’idea la perseguitava e, finita la guerra, iniziò un calvario di ricoveri tra depressione e alcolismo, interrotto da periodi di lucidità in cui scrisse medaglioni, testi satirici e un romanzo Ferdinand, l’uomo dal cuore gentile senza però ritrovare il successo.

Irmgard Keun ne parla appena, malgrado l’insistenza indiscreta degli intervistatori: «Se sei stato una volta in esilio è difficile smettere di sentirti fuori posto». Ricorda però con partecipazione la nascita della figlia nel 1951 e, soprattutto, l’inizio di una nuova stagione di successi dagli anni Settanta quando è riscoperta, ripubblicata, e rivalutata come scrittrice, come donna emancipata, come radicale antinazista.

Frammentari ed elusivi, i ricordi disseminati in queste interviste chiedono di essere completati: si potranno leggere le lettere a Arnold Strauss e Hermann Kesten, ricche di riflessioni e di notizie, ma forse basta riprendere i suoi romanzi, panottici di un continuo rispecchiamento di sé e del suo mondo che da qualche anno l’Orma ripropone con buone traduzioni e scarne indicazioni critiche perché non venga filtrata la lettura di questi testi di bellezza vagante e di oscillante profondità che illuminano una vita al limite, tra il sadismo della storia tedesca e l’autodistruttività di chi insegue a spallate l’avventura.

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