Irandeal, autogol di Trump. Ora l’Europa si faccia avanti
Usa/Iran La colpa di Teheran è duplice: non essere mai stato colonia né protettorato occidentale e non essere un acquirente di armi made in Usa. E la decisione del presidente fa perdere ulteriore credibilità agli Stati uniti
Usa/Iran La colpa di Teheran è duplice: non essere mai stato colonia né protettorato occidentale e non essere un acquirente di armi made in Usa. E la decisione del presidente fa perdere ulteriore credibilità agli Stati uniti
La decisione del presidente americano Donald Trump di non certificare l’accordo nucleare con l’Iran non vuol dire che gli Stati uniti abbandoneranno l’accordo a breve e che ci saranno subito nuove sanzioni contro Teheran. Di fatto, ora la palla passa al Congresso che ha sessanta giorni di tempo per esprimersi.
Forse Trump non se n’è reso conto, ma l’accordo firmato a Vienna il 14 luglio 2015 è multilaterale e al momento la diplomazia europea, la Cina e la Russia non hanno alcuna intenzione di tirarsi indietro.
Nonostante questo, la decisione di Trump crea confusione all’interno della sua stessa amministrazione e con le altre nazioni del pianeta: se il presidente americano in carica smantella le decisioni del suo predecessore democratico Barack Obama, incluso l’accordo di Parigi sul clima, nulla vieta di pensare che il successore di Trump farà poi lo stesso con i provvedimenti da lui presi.
Trump mette in dubbio l’accordo nucleare e, poco prima, ha deciso di abbandonare l’Unesco. Decisioni che fanno perdere credibilità a questa amministrazione americana. Questo di Trump è un clamoroso autogol: a perderci la faccia sono soltanto gli Stati uniti e nel medio lungo periodo nessun paese avrà un tornaconto in termini di maggiore sicurezza.
Nemmeno Israele e nemmeno l’Arabia saudita, che devono convivere in un Medio Oriente in fiamme con la presenza congiunta di al-Qaeda, dell’Isis e di altri gruppi sunniti jihadisti che la Repubblica islamica ha tutto l’interesse a combattere.
A risentire della decisione di Trump sarà in prima battuta il mondo del business: Total e Eni hanno investito nel settore dell’energia iraniana, mentre colossi come il consorzio europeo Airbus e l’americana Boeing hanno commesse da miliardi di euro e dollari.
Trump spaventa anche e soprattutto le piccole e medie imprese, già alle prese con le difficoltà nei pagamenti perché restano in vigore le sanzioni finanziarie del Tesoro americano. «Noi avvocati siamo sempre più impegnati nella due diligence, si tratta di verificare se le società con cui gli europei vogliono firmare contratti hanno un qualche legame con le Guardie rivoluzionarie prese di mira dalle sanzioni statunitensi», afferma Hamideh Barmakhshad dello studio legale Dadandish di Teheran che ha stretto una collaborazione con il collega Duilio Cortassa dello studio romano Ljlex.
Negare la certificazione all’accordo nucleare con l’Iran concluso a Vienna non renderà l’Iran più accomodante, anche perché l’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha più volte reso noto che le autorità della Repubblica islamica ne rispettano i termini.
Per questo la società civile iraniana è delusa dalla decisione di Trump, che viene dopo il decreto contro i musulmani che rende quasi impossibile ottenere il visto di ingresso per gli Stati uniti. La decisione di Trump dimostra che gli Stati uniti sono inaffidabili e che pensano soltanto a fare soldi tant’è che il loro migliore alleato nella regione è, oltre a Israele, l’Arabia saudita a cui Trump ha venduto armamenti per 120 miliardi di dollari in occasione del suo viaggio a Riad.
La colpa dell’Iran è quindi duplice: non essere mai stato colonia né protettorato di una potenza occidentale e non essere un acquirente di armi made in Usa.
Con l’amministrazione americana che si comporta in modo dissennato, l’Unione europea si trova a dover assumere un ruolo di leadership in almeno due ambiti: nel mantenere in essere l’accordo nucleare con Teheran e nel difendere i diritti umani attraverso una seria azione diplomatica in scenari come lo Yemen in cui gli americani sono coinvolti militarmente perché danno un supporto in termini di intelligence, riforniscono di armi i sauditi e i loro alleati in chiave anti-iraniana.
Nella coalizione messa insieme dai sauditi ci sono gli Emirati, i cui aerei che bombardano lo Yemen vengono riforniti in volo dagli americani. Emirati che controllano parte del sud dello Yemen e mettono in carcere quelli che ritengono essere dissidenti, usando tecniche di tortura che ricordano quelle a cui fu sottoposto San Lorenzo: legati sulla graticola, il fuoco acceso.
Gli americani fanno finta di niente, non resta che l’Europa per prendere posizione sulla difesa dei diritti umani in uno scacchiere mediorientale in cui i vari scenari sono strettamente connessi.
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