Iran, la mossa di Khamenei: «In caso di sanzioni salta tutto»
L'accordo in bilico Dopo il voltafaccia di Trump sul nucleare, la Guida suprema lancia un monito all’Europa. «Non accetteremo di dover sopportare allo stesso tempo sanzioni e limitazioni in materia nucleare». L'annuncio che Teheran è pronta a riprendere il programma di arricchimento dell'uranio
L'accordo in bilico Dopo il voltafaccia di Trump sul nucleare, la Guida suprema lancia un monito all’Europa. «Non accetteremo di dover sopportare allo stesso tempo sanzioni e limitazioni in materia nucleare». L'annuncio che Teheran è pronta a riprendere il programma di arricchimento dell'uranio
La Guida suprema iraniana Ali Khamenei ha riflettuto a lungo, passandosi la mano sulla barba canuta. Dal turbante nero spunta qualche ciocca di capelli bianchi. Gli occhiali sono spessi, nonostante l’età lo sguardo resta intenso. Dopo quasi un mese dalla decisione di Trump di uscire dall’accordo nucleare, l’ayatollah Khamenei ha finalmente fatto la sua mossa: l’Iran non abbandona l’accordo, ma «gli europei sognano se credono che possa continuare a rispettarlo nel caso entrino in vigore nuove sanzioni economiche contro di noi». In altri termini: «Il popolo e il governo dell’Iran non accetteranno di dover sopportare allo stesso tempo sanzioni e limitazioni in materia nucleare». Fin qui nulla da eccepire: il bastone ci sta, ma solo se c’è la carota.
A SPAVENTARE È LA FRASE successiva, quando Khamenei aggiunge di aver «ordinato preparativi per l’eventuale ripresa dell’arricchimento dell’uranio, per ora rimanendo all’interno delle previsioni previste dal Jcpoa». La Guida suprema si è espresso con queste parole nel mausoleo dedicato all’imam Khomeini commemorando la sua morte avvenuta diciannove anni fa. Era stato lui, il fondatore della Repubblica islamica, a mettere fine al nucleare civile avviato dallo scià Muhammad Reza Pahlavi negli anni Cinquanta, in collaborazione con gli americani: durante la Guerra fredda, il programma Atoms for Peace era un modo per accaparrarsi alleati.
Sull’accordo firmato a Vienna il 14 luglio 2015, il leader supremo Khamenei ha sempre manifestato perplessità. Se alla fine aveva ceduto, è perché la fine delle sanzioni avrebbe potuto risollevare l’economia. Ora, pare ci sia invece la «volontà politica di giungere alla rottura, puntando il dito contro l’ostilità statunitense e l’incapacità dell’Europa di rispondere alle scriteriate decisioni assunte dall’amministrazione Trump», commenta il ricercatore Michele Gaietta, autore del volume The Trajectory of Iran’s Nuclear Program (Palgrave Macmillan).
L’EUROPA DEVE TREMARE all’idea che Khamenei abbia ordinato di riprendere l’arricchimento dell’uranio? Il vecchio continente non rischia di essere preso di mira: negli ultimi secoli l’Iran non ha attaccato alcun paese. Al contrario, è stato invaso dagli Alleati nel 1941 e da Saddam Hussein nel 1980. E proprio per questo ayatollah e pasdaran considerano i missili come un deterrente. Il vero rischio, commenta Gaietta, è «il collasso dell’accordo, che fissa in modo dettagliato le modalità, i controlli e le attività con cui l’Iran può sviluppare il proprio programma nucleare, per un orizzonte temporale significativo. Senza l’accordo, l’Iran potrà ridurre le tempistiche necessarie per eventualmente passare da utilizzi civili a militari dell’energia nucleare, creando nuove incertezze e tensioni nella regione mediorientale».
PER QUANTO RIGUARDA ISRAELE, le autorità iraniane non potranno mai permettersi di attaccare lo stato ebraico, armato fino ai denti. Di fatto, il fallimento dell’accordo sul nucleare e l’isolamento dell’Iran nel quadro regionale e internazionale hanno rappresentato due obiettivi strategici israeliani, da perseguire per impedire la ripresa economica della Repubblica islamica.
Il rischio per Israele è, aggiunge Gaietta, «che il livello di scontro, puntualmente innalzato negli ultimi mesi, possa arrivare a un punto di rottura, portando a un confronto armato in risposta a possibili operazioni di intelligence e attacchi mirati nei confronti di obbiettivi iraniani».
In ogni caso, in questo gioco pericoloso a perderci parecchio sono il presidente moderato Hassan Rohani e il suo ministro degli Esteri Zarif, che avevano fatto dell’accordo nucleare il perno della loro proposta politica di apertura dell’Iran nel sistema internazionale.
MA ANCHE BRUXELLES, che aveva raggiunto uno dei risultati più significativi in politica estera, grazie alla partecipazione attiva nella sua formulazione tramite l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
L’impressione è quindi che Rohani, Zarif e la diplomazia europea stiano nello stesso campo. Solo un buon gioco di squadra riuscirà a farli vincere contro l’America di Trump e i falchi israeliani.
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